15 – L’INCUBO
E se fosse tutto un gigantesco imbroglio? Durante l’anno ventiventi uno spillover aveva fatto un salto di specie e si era divertito a creare un virus che aveva messo a terra l’intero pianeta. La società così come era stata costruita non aveva più senso. Il popolo dell’Ordine Superiore gestiva il popolo dell’Ordine Inferiore e chiunque avesse varcato la soglia di casa sarebbe stato colpito dall’arma letale partita da un pipistrello del Pacifico. L’obiettivo era quello di entrare nello spazio sacro dell’oikos, di profanarlo e di cambiare il tempo della vita in tempo del lavoro.
Il mito orwelliano era ormai compiuto. Se la casa era diventata il principale spazio di contagio va da sè che era nella casa che doveva prima o poi entrare l’ordine di controllo del virus e delle politiche. Filippo era ormai consumato dalle mura domestiche. La notizia del ricovero di suo padre, il fatto che avrebbe presto abbandonato la frequenza per tornare a fare lezione da casa lo aveva gettato nello sconforto più totale. Aveva provato, qualche giorno prima, a fare il giro del palazzo, ma i delegati dell’OS lo avevano fermato. Scendeva in cucina solo per prendere i pasti visto che i suoi genitori e sua sorella erano risultati positivi. Il sogno di qualsiasi adolescente ma i sogni si sa possono diventare anche incubi. Gli mancava Sofia, la ragazza che aveva conosciuto pochi mesi prima, in estate. Avevano stretto amicizia al mare e anche se appartenevano a due zone diverse, si erano continuati a sentire sempre più di frequente. In quel momento l’OS non permetteva di valicare le zone e i ragazzi si vedevano solo tramite rete bioenergetica e ologrammi. La tecnologia era una grande arma ma spesso, dopo un abbraccio o un amplesso virtuale, Filippo si sentiva più solo di prima. Sofia, invece era contenta. Quella storia le permetteva di non impazzire dentro il suo palazzo. I suoi genitori che appartenevano all’0S, erano impegnati ad organizzare le regole e i controlli affinchè l’OI potesse gestirsi in modo da non autodistruggersi tramite la pandemia. Spesso era fuggita ma senza troppa convinzione non aveva nemmeno varcato i giardini di casa.
Sofia era tutto quello che lui aveva desiderato fino a quel momento. Sembrava si conoscessero da sempre.
– Ciao amore mio, facciamo colazione insieme? – esordiva ogni mattina Filippo. Sofia era felice, si svegliava, preparava il thè, il cioccolato, la torta di mele appena sfornata.
Spesso Filippo aveva voglia di vederla anche durante le lezioni e la chiamava. Lei era felice e chiudendo la lezione si baciavano per poi poter tornare in aula virtuale.
Quando i contagi iniziarono ad essere più bassi, la zona di Filippo venne colorata di verde e lui fu libero di muoversi ma improvvisamente sparì. Sofia gli scriveva ma lui non rispondeva.
Un mercoledì mattina Sofia si era svegliata con un gran buon umore. Sapeva che di lì a poco si sarebbero rivisti in ologramma. Così dopo tanto tempo, inviò un messaggio a Filippo.
Filippo dopo una breve introduzione riguardante la vita condotta fino a quel momento di libertà, le chiese – Come va con i ragazzi? Hai qualcuno? -. Il sangue di Sofia si freddò. Una tale domanda aveva necessità di essere ripetuta. Lui le confessò di avere una relazione vera con un’altra ragazza, della sua stessa zona e del suo stesso ordine. – Sofia, non possiamo continuare a vederci in rete, io ho bisogno di una ragazza reale da abbracciare, da baciare, da guardare negli occhi. A breve la mia zona diventerà rossa e non voglio tornare come prima -. Il virus non aveva ucciso solo migliaia di persone, aveva ucciso anche la speranza, la forza e il coraggio di due ragazzi che si sarebbero amati per sempre.
Il giorno seguente tutte le televisioni a reti unificate diedero la notizia che quello era stato solo uno stress test, un imbroglio in nome dell’OS, ma intanto le persone non sarebbero mai più tornate quelle di prima.
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