6 – ATLAS

25 Gen di editor

6 – ATLAS

***

Era bello tornare a casa, dopo,

trovarti lì, fra le braccia di un sogno,

sentir la vita cullar uno scopo,

sfiorarti il volto senz’altro bisogno.

Era bello uscir di casa, più tardi,

vederti piano muovere nel letto,

affilar nel lucor del giorno i dardi

di questo amor per noi Terreno e Tetto.

Ma tutto ciò che è bello il mondo offusca:

d’improvviso il “dopo” divenne “mai”,

ogni parola non detta gelò;

ad un incrocio, fu la mano brusca

d’un Dio geloso a volermi… non sai

quanto piansi il cuor che non ti svegliò.

Ok, pensò il Poeta posando la penna, ci siamo. I versi sono tutti endecasillabi e lo schema delle rime, anche se non tradizionale, funziona.

Un altro sonetto è fatto.

Era passato qualche giorno da quando il suo editore gli aveva commissionato un lavoro speciale: una sorta di Antologia di Spoon River in chiave moderna, con personaggi, ambientazione, e spirito odierni, ma con una forma che si rifacesse al classico.

Strana scelta. Il Poeta, dopo averci pensato un po’ su, aveva optato per una raccolta di Sonetti, componimenti costituiti da due quartine e due terzine di versi rimati, forma classica della letteratura con la quale si erano cimentati anche autori contemporanei: garantiva una fluidità, un’immediatezza di lettura e, soprattutto, di sintesi che faceva al caso suo e a un pubblico di lettori non troppo attenti e pazienti, ma comunque interessati alla poesia o in cerca di belle frasi da ricordare e riutilizzare.

Aveva già scritto una decina di sonetti, raccontando le vicende e gli addii più commoventi che potesse immaginare, senza, però, dimenticare anche le separazioni dolci e appagate di alcuni personaggi, come a voler toccare ogni aspetto emotivo, vero e variegato del mondo.

Un lavoro duro e lungo che, però, gli stava dando una grande soddisfazione.

Si stirò le articolazioni un po’ intorpidite nascondendo dietro la mano uno sbadiglio. L’orologio della sala segnava le 3:57.

Era notte fonda.

I poeti lavorano di notte, diceva Alda Merini, pensò.

Giusto, ma dormono, anche, altrimenti non possono ricaricarsi di sogni.

Spostò la sedia in silenzio, chiuse la penna con il cappuccio – lo scrivere a mano poteva sembrare un vezzo in un’era completamente digitalizzata, ma per la Poesia era un gesto necessario, dal sapore antico e autentico – si alzò e si diresse verso la camera da letto.

Nel buio, Laura, la sua compagna, dormiva profondamente.

Stette a guardarla, reclinando un po’ la testa, intenerito, domandandosi perché gli esseri umani addormentati, specialmente le donne, dessero, nel guardarli, un’avvolgente sensazione di benessere e completezza. Questo pensiero gli portò alla mente, per contrasto, anche l’immagine comica di Laura con la bocca semiaperta e che russava debolmente, come l’aveva vista qualche volta. Si trattenne dal ridere. Forse la realtà era un po’ spoetizzante, a volte, ma ricordava che anche in quel momento l’aveva amata come non mai.

Era questa la Poesia.

Si coricò.

Prima di assopirsi del tutto, d’improvviso sentì un brivido gelido lungo la schiena: il dormiveglia gli aveva fatto percepire quanto la sua situazione presente e i suoi pensieri fossero simili a quelli del protagonista del suo ultimo sonetto e si spaventò.

Aveva sempre pensato di essere solo un tramite per qualcosa d’invisibile quando scriveva, sentiva ancestralmente la potenza e l’importanza di quel gesto, come se creare altre realtà portasse anche un doveroso senso di responsabilità. Questa ne era l’ennesima conferma, ma la paura che provava ora era ingiustificata, anche perché l’indomani sarebbe rimasto a casa. Non ci sarebbero stati incroci per lui.

La troppa sensibilità dovrebbe essere considerata come un’invalidità, a volte.

Fu il suo ultimo, confuso pensiero.

Poi, agitato, alle soglie di un incubo, scivolò nel sonno.

***

L’indomani, in un altro luogo, un altro uomo si svegliò accanto alla sua compagna. La osservò con amore e non volle svegliarla.

Di tutti i sogni strani della notte ricordava, turbato, solo una frase:

Era bello tornare a casa, dopo…

In auto, mentre si recava al lavoro, ci pensava ancora.

Sì, sarà bello tornare a casa dopo il lavoro, si diceva, cercando di scacciare l’inquietudine. Lei sarà lì. Significa solo questo…

All’incrocio, il destino, scritto da un altro uomo innocente e sconosciuto, lo attendeva implacabile, assurdo, inspiegabile.


Valutazioni Giuria

6 – ATLAS – Valutazione: 27

Giud.1:
Originale e piacevole la stesura del racconto in versi e in prosa. Nel finale il destino preannunciato è d’effetto.

Giud.2:
ottima scelta per la forma del racconto. mi ha molto colpito. belle le immagini che lascia al lettore. non ho molto compreso il finale

Giud.3:
Non ho capito l’ultima riga del sonetto. Terzo periodo non funziona. “finestra su qualche altro infinito”, “spoetizzante”, “ancestralmente” suonano male. Mi è piaciuto il concetto di “responsabilità del poeta”

Giud.4:
la grossa pecca è nel sonetto che… non è un sonetto e non riesco proprio a capire perchè si è scelto di far dire al poeta che i versi siano endecasillabi, quando evidentemente, non lo sono. Apprezzata l’originalità ed alcune immagini che presuppongono uno sforzo di sensibilità.