8 – Concerto d’addio
Ci fu un lungo silenzio rotto solo dall’eco dell’ultimo arpeggio del clavicembalo che ancora si librava nell’aria. Poi lo scrosciare degli applausi riempì la sala. La Badinerie di Bach, eseguita insieme all’orchestra da camera, era apparsa strepitosa. Il tono del flauto, caldo e vellutato, aveva emozionato e, quando a metà del concerto il solista aveva eseguito le dodici fantasie di Telemann per flauto solo, in particolare la decima, aveva ipnotizzato il pubblico. Giulio Briccialdi aveva suonato come rapito il suo traversiere barocco in ebano, con grazia e delicatezza anche nei passaggi più difficili. E gli archi e il clavicembalo lo avevano, più che seguito, avvolto, abbracciato negli adagio, sostenuto nei presto, aspettato nelle cadenze e negli a solo. Il pubblico sapeva che il famoso solista, il Paganini del flauto, com’era chiamato, non avrebbe, da lì in avanti, più suonato in pubblico. All’apice della sua carriera, aveva voluto evitare il declino e quest’ultimo concerto, ultimo dono agli appassionati, aveva il sapore di un incontro tra amici, che vogliono salutare un compagno che parte. Briccialdi aveva suonato per quell’occasione speciale, non il flauto Bohem, che lui stesso aveva perfezionato e di cui aveva dimostrato pubblicamente le qualità tecniche in svariati concerti. Per quella serata aveva usato un traversiere del Settecento, costruito nientemeno che da Quantz, arduo da utilizzare nei passaggi di ottava e nei fraseggi più veloci ma ineguagliabile nel suono, profondo e dolce, ampio, generoso, sensuale nei vibrati.
Per più di venti minuti il pubblico in piedi aveva applaudito, sperando in un ultimo bis, ma il maestro non era più apparso sul palco e lentamente la gente cominciò ad affollare l’uscita del teatro. Fuori una gelida serata di febbraio tentava di cancellare velocemente il bel ricordo della serata.
Più tardi, a casa, Giulio Briccialdi, chiese alla moglie di essere lasciato solo nello studio. Seduto sulla sua poltrona preferita, davanti al camino acceso, rimase fino ad ora tarda a riflettere. Non solo per lui cominciava una nuova epoca, la musica stava cambiando, il mondo stava cambiando. Teneva ancora tra le mani il traversiere antico che aveva suonato nel concerto, ricordando l’emozione di quando l’aveva accostato alla bocca la prima volta, il profumo del legno stagionato e degli unguenti usati per lubrificare gli innesti. Irripetibile, pensò, cogliendo per un istante il senso dell’unicità di ogni cosa grande. Ogni attimo è unico e irripetibile e chiuso in sé, chi mai potrà riprodurre fedelmente il suono di un esecutore con le sue sfumature ma anche le emozioni che suscita? Come fissare un singolo momento in modo fedele per renderlo sempre disponibile? Certamente sarebbe stato impossibile. Complice il tempo, cosa sarebbe rimasto di lui e di quell’ultimo concerto?
Una insopportabile malinconia lo colse allora, sentendo che il suo tempo stava passando, come anche tutto un mondo, costruito sul passato, che piano piano cedeva il passo alla modernità, alla tecnologia. Era sicuramente in preda allo sconforto quando attizzando il fuoco nel camino prese la decisione. Non avrebbe più suonato, non solo in pubblico, ma nemmeno per suo diletto. Avrebbe trascorso il resto della sua vita lontano dai teatri, dalle sale da concerto, dai conservatori.
Per il resto della notte, dopo aver lasciato cadere tra le fiamme il glorioso traversiere, restò davanti al camino osservandolo trasformarsi prima in un tizzone scoppiettante, poi lentamente in cenere informe.
Valutazioni Giuria
8 – Concerto d’addio – Valutazione: 25 Giud.1: Le descrizioni dei sentimenti sono delicate ed emozionanti. Il linguaggio è scorrevole. Inaspettato il finale dove l’impulso ha prevalso sull’amore tanto declamato in precedenza. Giud.2: belle le descrizioni, sintassi buona. non mi piace il corsivo per i termini tecnici. escalation delle emozioni. bello il finale inaspettato. Giud.3: Trasmette la malinconia dell’addio, il rimpianto del tempo che passa e del mondo che cambia e soprattutto la dolorosa impossibilità di conservare intatte le emozioni quando si trasformano in ricordo. Giud.4: “Il tono del flauto, caldo e vellutato, aveva emozionato e, quando a metà del concerto il solista aveva eseguito le dodici fantasie di Telemann per flauto solo, in particolare la decima, aveva ipnotizzato il pubblico” un brutto costrutto. E’ evidente che l’autore non padroneggia il linguaggio musicale, ma probabilmente, ne ha fatto una rapida e superficiale ricerca. “Giulio Briccialdi, chiese alla moglie” brutto errore di punteggiatura. |