10 – LA LEGGENDA DI FRATE ROMUALDO
e di come, per intercessione di fratello Bardo, Iddio lo redense.
Finì per addormentarsi
D’un sonno fondo e giusto,
Dopo ch’ebbe a prodigarsi
Con amor, pietà e con gusto
Negli affar di cappuccino.
Sognava d’un bel foco
Che ‘l tenesse un poco al caldo,
Più del lume mozzo e fioco
Scordato fùmido e ribaldo
Col breviario e l’acciarino.
Sorci sott’a un tappeto
Movea gli occhi serrati,
Nel sonno sembrava cheto
Ma quelli eran tribolati
Più che fosse in apparenza.
Ed ecco tra veglia e sogno
Si stupì del tosto albore,
Sicché sentì il bisogno
Di riparar da quel chiarore,
Quando in fin prese coscienza.
“Al foco, al foco, al foco!”
Brandendo la coperta straccia,
“Al foco”, urlava, “al foco!”
Battendo e quel gli si rinfaccia
Irrobustito ancorché domato.
Accorsero i fratelli tutti
E gettarono acqua a secchi,
Come il mare rigetta i flutti,
Sui legni asciutti e vecchi,
Ma il convento era appicciato.
E nulla v’era da salvare
Oltre la vita, umili cose
E il crocefisso in sull’altare,
Che le fiamme tormentose
Già rendevano cocenti braci.
L’incendio i muri serra,
Rossi nel buio i frati staglia
Nove in piedi ed uno a terra,
Il foco inerpica ed abbaglia
Con fiamme orribili e voraci.
Trascorse l’intera notte
Pria che il rogo si tacesse,
L’alba che il buio inghiotte
Trovò fiaccole sommesse
E aduste facce lacrimose.
Come pastori alla grotta
S’adunarono all’abbazia
Le genti, trovandola ridotta
Cumulo e al culto di latria
Volsero nenie lamentose.
Tra i frati alcuno spese
Preghiere, altri scostava
Macerie ancora accese,
Solo uno a terra stava
Romualdo d’Avellana.
Frate Elia lo avvicinò
Genuflettendosi al suolo
E con dolcezza ei sussurrò
“Confessiamoci figliuolo
Che l’angoscia è trista e vana”.
Frate Elia, buon pastore
Invocava a lui in soccorso
L’assoluzione del Signore,
Che fugasse il suo rimorso
Espiando penitenza.
Neppur colla pena, doma
Il fervente animo pio,
Ei come bestia da soma
Si sentiva innanzi a Dio
Ed indegno di clemenza.
Prodigarono nei dì seguenti
Ogni sforzo e affanno
Con la carità delle genti
Rizzarono un capanno
Ma nulla era bastevole.
Si decise allora a sorte
Chi la congrega lasciasse,
Partendo per altra corte
Ovunque iddio ordinasse
Al loro animo cedevole.
Ovidio andò a Montecchio,
Giulio e Basilio in Aggio,
Bardo fiacco e vecchio
Fece l’ultimo suo viaggio
Tra le braccia del Signore.
Dai ruderi riattati
E ridotti a mendicare
Rimasero in sei frati
Votati a predicare
Poveri, fuorché d’amore.
Romualdo, per parti sue,
Tanto ‘l si prodigava
Che uno sembravan due,
Se da ultimo si coricava
Con lodi destava il sole
Come il servo più solerte
Miete, semina e dissoda
Macerie, pietà e offerte
In luogo di terra soda,
Sulle labbra rade parole.
Solo a sera discorreva:
Con Elia per confessione
Sotto la croce, e piangeva
In penitenza e in contrizione
Spendendo lacrime ardenti.
“Come Dio avea rimesso”
– pregavan gli altri frati –
“Romualdo a sé stesso
Perdonasse i suoi peccati
Ed i pensier tristi e silenti”.
Ma il cuor non sente
Clemenza, né pena cessa,
Tal ch’ei giace dolente
In dolorosa e spessa
E dura penitenza.
Accadde poi secondo
Com’Egli vuol che accada:
L’altissimo e fecondo
Mutò lacrime in rugiada
Miracolosa nell’essenza.
Apparve infatti un noce
Tra le macerie inerti
Ai piedi della croce,
Tra gli spacchi aperti
Alle lacrime profonde.
Prodigiosa pianta, dacché
Sorse nottetempo schiva,
Eppur già folta, talché
La chioma stormiva
All’alba, tra le fronde.
Da ovunque accorsero
I fedeli che, sentito dire
Sul miracolo dell’albero,
Volevan farsi benedire
Dal frate retto e pio.
L’iniziale e biasimevole
Fanatismo mal celato
Affliggeva il nostro fievole,
Discreto ed umile curato
Che chiedeva gloria a Dio.
Ed avvenne nei fedeli
Ciò che il frate invocava:
Gloria e lode ai cieli,
Che null’omo meritava,
E misericordia in terra
Nei seguenti due trienni
Carità ed ardimento
Eressero le solenni
Nuove mura del convento
Che ‘l noce in mezzo serra.
Romualdo chiese per riguardo
Di esporre in adorazione
Le reliquie di frate Bardo,
Della cui intercessione
Intimamente egli era certo.
Infine avvertì perdonato
Quel ch’ei sentiva in fede
Come mortal peccato,
Da Colui che provvede
Ad ognun, se ha cuore aperto.
Son trascorsi dieci secoli
Dalle vicende narrate
In questi versi miserevoli
E nella memoria annebbiate,
Ma rimangano valevoli
I precetti di quel frate.
Qualsivoglia ne traiate.
Valutazioni Giuria
10 – LA LEGGENDA DI FRATE ROMUALDO – Valutazione: 29 Giud.1: Apprezzabile il genere scelto per narrare le vicissitudini del frate “retto e pio” e dei suoi confratelli. Giud.2: genere interessante, diverso dal solito. Buon vocabolario e sintassi. Belle le immagini che la lettura suscita. Giud.3: Ingegnoso, ben formulato, argomento particolare. Godibile. Giud.4: |