14 – L’ INVERNO
Iniziavano i primi freddi ed eravamo tutti molto preoccupati per la carenza di materiale adatto all’ inverno imminente.
Avevo sentito molte voci su quella che era la vera situazione. I nostri camerati tedeschi, fanatici ed esaltati come sempre, promettevano ed assicuravano che indumenti, armi e cibo erano già in viaggio, ma la verità era tutt’altra. Non c’erano rifornimenti di alcun genere, anzi, si vociferava che numerosi capisaldi del fronte fossero stati smantellati in fretta e furia.
I tedeschi negavano e insistevano nel parlare solo di vittoria, ma nessuno di noi ormai credeva più a quei vaneggiamenti. Ci si stava preparando ad una ritirata immediata, o meglio, ad una vera e propria fuga.
Nessuno riteneva doveroso informare le truppe alleate, a riprova dell’arroganza tedesca.
Non solo superiori ai nemici, ma anche ai propri alleati.
Non ho mai condiviso la loro fanatica propaganda, e non mi erano mai piaciuti i loro metodi, per non parlare delle voci che giravano su stermini di massa, ma che ci piacesse o no, dovevamo accettare di stare ai loro ordini.
Col passare dei giorni il freddo era sempre più insistente e la neve cadeva ininterrotta.
Ancora non avevamo notizie dei piani generali, e la nostra preoccupazione, diventava vero e proprio panico.
Sul fronte era rimasta solo la fanteria. In caso di attacco non avevamo nulla con cui difenderci.
Finalmente arrivarono comunicazioni, ma meglio sarebbe stato se non fossero mai arrivate. L’ ordine era di coprire la ritirata tedesca, rallentando il nemico il più a lungo possibile.
Malgrado il freddo, mi si gelò il sangue. Eravamo solo pedine sacrificabili, lasciati a morire.
Avevamo aspettato troppo ad agire.
In balia del gelo, immersi nella neve e senza la possibilità di fuggire, se non a piedi.
Restare significava morte certa, quindi decidemmo di tentare una disperata marcia verso ovest.
Non so quanto tempo trascorse, né quanta strada feci.
Ricordo che solo che ad ogni passo moriva una parte di me.
Pian piano smisi di aiutare di cadeva nella neve, di seppellire che ormai era morto, persino di preoccuparmi se i miei compagni fossero ancora acconto a me.
Non avevo più sensibilità a mani e piedi, il vento mi apriva ferite al volto che nemmeno sanguinavano, ma mi trascinavo ugualmente avanti.
Pensavo a casa mia, mi immaginavo a tavola con la mia famiglia, dopotutto era Natale, il primo di mio figlio. Pensare a lui e mia moglie, mi scaldò il cuore.
Ero sicuro che li avrei rivisti. Avevo promesso che sarei tornato. E ci sarei riuscito.
Aprii gli occhi, anche se non ricordavo di averli chiusi.
Non sentivo più il vento. Tentai di voltarmi, ma non ci riuscivo.
Allora mossi solo gli occhi e mi resi conto che ero sdraiato a terra.
Mi chiesi da quanto fossi caduto, anche se ormai contava ben poco.
Non sentivo più dolore, al contrario, sentivo che ogni cosa fosse sparita.
Tutto, tranne il pensiero che sarei tornato a casa.
La vista si oscurava.
Ma ero certo che me la sarei cavata.
Dovevo solo riposare un po’.
Chiusi gli occhi.
Ma non gli riaprii più.
Valutazioni Giuria
14 – L’ INVERNO – Valutazione: 20 Gaia: Un racconto che abusa di un tema decisamente greve, quale quello della guerra. Troppo diffusa e alquanto banalizzata la critica al popolo tedesco. Brusco e poco riuscito il passaggio improvviso alla vicenda più intima del protagonista, con il suo ineluttabile cammino verso la morte. La voce narrante del protagonista che tiene a precisare la definitività della chiusura degli occhi è decisamente inopportuna. Un paio di refusi e qualche incertezza nell’impiego dei tempi verbali. Matteo: Approssimativo. L’argomento trattato (complesso dal punto di vista storico e ricco di precedenti letterari illustri) presenta non poche trappole. Non capisco la necessità di dedicare tanto spazio alla situazione generale (senza riuscire in ogni caso a restituirne un’immagine concreta e veritiera). Mi sarei concentrato sin dall’inizio sulla vicenda personale del protagonista, che invece rischia di rimanere piuttosto superficiale. Una domanda sorge spontanea: è davvero importante che la vicenda accada in Russia durante la Seconda Guerra Mondiale? Paola: Con un esordio come questo, il tema storico è sicuramente uno sviluppo naturale. Il racconto si divide in due parti, a mio avviso: la prima di invettiva nei confronti dell’alleato, se così si può dire, tedesco e la seconda più introspettiva, in cui il viaggio verso un ultimo e disperato tentativo di salvezza è anche un viaggio dell’anima. La dicotomia tra le due parti è tuttavia troppo netta: sembrano quasi due racconti diversi. Pietro: Il racconto scorre, ma manca di plasticità nella prima parte. L’odio verso i tedeschi sprezzanti e bugiardi, il sospetto di essere trattati da loro come carne da macello, il tradimento del proprio comando: tutti questi passaggi, benché espressi a chiare lettere, non si fanno mai davvero visibili, palpabili, «incarnati»; col risultato che si fatica a capire quale sia la posta in gioco – una posta in gioco così viscerale come la vita. L’ultima frase è mio avviso controproducente. Senza di essa il finale sarebbe comunque perfettamente chiaro e molto più drammatico e aggraziato, poiché lascerebbe al soldato morente l’illusione in cui non crede, ma che gli è necessaria per affrontare la morte. Infine non sono sicuro che la prima persona singolare (sempre controversa, peraltro, in bocca a un morto, almeno al di fuori del fantastico) aggiunga al racconto qualcosa che la terza non può dargli. |