1 – Apocalisse silente
Iniziavano i primi freddi. Lo sentivamo tutti nel bisbiglìo della gelida corrente d’aria, lo vedevamo nello smagrirsi degli alberi. Lo gustavamo nei vapori confortanti delle tisane.
Lo tastavamo addirittura, indossando quel vecchio maglione grigio a lungo dimenticato e così caldo. Un abbraccio obliato, come tanti che quell’anno non ci eravamo dati.
Ciononostante non eravamo pronti.
Gli scoiattoli attenti avevano carpito dal volubile ruscello che ci attendeva un lungo inverno, e avevano fatto scorte, più che gli anni precedenti!
I cervidi avevano intrapreso la loro migrazione anche quell’anno, ma si erano spinti oltre nei territori caldi.
Ci avevano sempre detto di tenerci pronti, di vegliare, e il periodo dal quale venivamo non si poteva dire che ci avesse rasserenato, ma ci trascinavamo lungo il calendario come ombre, incapaci di reagire a quel mare che ci aveva inondato a partire dalla primavera precedente.
Un sottile e autarchico strato di brina ammantava tutto il paesaggio, e noi con lui.
Rosee albe terse si svegliavano come concupiscenti alleati che sembravano volerci rassicurare. Falsi amici, che mostrano solo ciò che vuoi vedere.
La verità era semplice e disarmante. Gli arcobaleni non splendevano più. Non era un gioco, una ferita nella storia che avremmo potuto togliere dai sussidiari strappando una pagina.
Si avvicinava il solstizio d’inverno, la notte più lunga dell’anno, e il freddo era alle porte. Quella posizione astrale offriva una vicinanza unica al mondo sconosciuto e ignoto, percepito e richiamato con simboli e nomi diversi da ogni cultura.
Da noi tanti anni fa si chiamava Yule, ma il monopolio del Natale ha relegato questa data, il 21 dicembre, a guardiana dell’inverno.
Penso sia rassicurante che dopo primo giorno d’inverno le ore di luce riprendano ad allungarsi, per quanto si irrigisca il freddo.
“Il peggio è passato!” sembra voler dire il premuroso solstizio.
Quell’anno c’era un’altra misteriosa coincidenza chiamata la Grande Congiunzione: Giove e Saturno si sarebbero allineati a zero gradi nell’acquario.
Chi aveva tempo per pensarci? Dovevamo acquistare i regali di Natale che non avremmo potuto distribuire. Chissà, forse sarebbero stati aperti durante una videochiamata Skype, mostrando ai destinatari dei doni le nostre mirabolanti compere.
No, non eravamo proprio pronti: come chi, all’arrivo dei primi freddi, ha dimenticato la sciarpa.
Il mondo stava trasformandosi inesorabilmente, non poteva aspettare di guadagnarsi la mostra attenzione.
Per anni ci eravamo raccontati che “se avessimo avuto solo un po’ di tempo” ci saremmo dedicati ad attività nobili, imparando tante cose che avevamo sempre desiderato. Invece non avevamo fatto niente. I mesi passati nella sospensione avrebbero dovuto innescare domande, ricerca,… Invece avevamo elaborato solo lamentele.
Ricordo bene quei giorni: la natura non si era dimenticata di noi, e pittoreschi uccelli stavano facendo la posta alle nostre finestre, gelosi dei luminosi alberi di Natale. Le piume colorate e un delicato canto sembravano suggerirci di quanta bellezza avessimo bisogno per poter affrontare il lungo buio. …ma ormai la bellezza era diventata sinonimo di qualche viso cosparso di luce e make-up nello scintillante rettangolo televisivo.
Iniziavano i primi freddi, e il nostro cuore era stato il primo ad avvizzirsi. Sarebbe stato un lungo e gelido inverno.
Valutazioni Giuria
1 – Apocalisse silente – Valutazione: 21 Gaia: Un affresco ben delineato, con un linguaggio piacevolmente ricercato. Peccato i diversi refusi, segno di una mancata rilettura finale. Suggestivo, scorrevole: un buon esercizio di scrittura. Un po’ lontano dal “racconto”, però… Non c’è trama, non ci sono personaggi, non c’è una narrazione. Ci si aspetta che, una volta descritto tanto finemente lo scenario, arrivino gli eventi. Ma lo spazio narrativo, ahimè, é finito. Matteo: Il racconto è ben scritto (con l’eccezione di qualche imprecisione). Purtroppo però trovo che il cuore della narrazione sia piuttosto sfuggente: il narratore sembra girare a vuoto nella bella cornice invernale da lui costruita. Paola: Il testo è davvero ben scritto, salvo qualche sbavatura nell’uso della punteggiatura. Il racconto dell’arrivo dell’inverno è delicato e malinconico allo stesso tempo. Fa riflettere sui mesi passati e su quelli che ci attendono. Pietro: Confesso che fatico a vedere il testo come un racconto. Mi sembra qualcosa a metà tra ricordo, storia e mito, sul tipo dei grandi affreschi sulla fine di una civiltà, per di più privo di una cornice che fornisca le coordinate necessarie al genere. Ma anche lasciando da parte i miei dubbi a riguardo, rimane un problema sostanziale: l’oggetto della trattazione è quasi del tutto implicito. Nascondere la natura dell’apocalisse genera ambiguità: che cos’è «quel mare che ci aveva inondato dall’inizio della primavera»? E la trasformazione inesorabile del mondo? Sono lo stesso fenomeno, o no? Perché pensare a Yule significa tenersi pronti? A che cosa occorre tenersi pronti? Tutte domande che non hanno risposta. |