2 – Tutta colpa della pastiera

29 Nov di editor

2 – Tutta colpa della pastiera

Tutta colpa della pastiera…Eh si, facile raccontarsela! Chi é nato con le ossa grosse, chi soffre di diecimila malattie ereditarie diverse, come fosse l’unico al mondo; chi ancora preferisce autoconvincersi di essere semplicemente sfortunato, perché nato troppo basso, troppo di qua, troppo di là. E lei lo sapeva bene, quante ne aveva sentite nell’arco dei momenti trascorsi a frequentare l’ambiente della palestra! Risulta sempre più comodo piangersi addosso ed inventarsi diecimila scuse, piuttosto che armarsi di sana pazienza, tenacia e sacrificio. Per non parlare di quella simpatica categoria di persone che in balia di frustrazione personale punta il dito contro quella fetta di individui che in effetti rispecchierebbe il fine tanto ambito, screditandolo nel tentativo di appagare così la propria insoddisfazione. C’é da dire che si tratta di un discorso ben complesso, che meriterebbe svariate parentesi ed approfondimenti su vari fronti. L’autoaccettazione é un concetto piuttosto delicato, ma la sostanza rimane sempre una sola: se si vuole ottenere qualcosa, bisogna agire ed andarselo a prendere! Non esistono formule magiche, non esistono scorciatoie, tantomeno se si rientra in quel gruppo di individui citati sopra che, afflitti da un qualsivoglia scompenso metabolico o patologia congenita, si ritrova svantaggiato ed a dover far fronte ad una fatica ancora maggiore rispetto agli altri. E lei sapeva molto bene anche questo, rientrando appieno nella categoria di “sfortunati”. Eppure ciò non le aveva impedito di rivoluzionare la propria vita, partendo per quel viaggio che l’avrebbe aiutata pian piano a migliorarsi ed approciarsi ad uno stile di vita diverso rispetto a quello che negli anni precedenti, presa anche da vari dispiaceri emotivi, era stato un suo rifugio ma al tempo stesso anche una gabbia buia, che non le permetteva neanche di guardarsi allo specchio senza provare un senso di totale disgusto. La strada era ancora molto lunga, ma se prima la guardava dal fondo di una pozzanghera fangosa, adesso per lo meno si trovava lungo il cammino; talvolta inciampava in qualche antipatico rampicante selvatico che le piombava inaspettatamente davanti, altre volte si feriva con i rovi che sbucavano da ogni dove, ma che soddisfazione era poi, si diceva lei,poter mangiare quelle fantastiche more dolci e succose al fiorire della stagione? Quale sensazione più bella, se non quella di raccogliere i frutti dell’estenuante lavoro, sudato e raggiunto con tanta risolutezza?

Ma per lei tutto questo era molto di più; non si trattava, in effetti, di un obiettivo puramente estetico e fine a se stesso. Il percorso che stava compiendo partiva dall’esterno, fino a raggiungere i meandri più nascosti del suo essere, passo dopo passo, conquista dopo conquista, caduta dopo caduta. Si trattava di un processo di rinascita e guarigione, di abbattimento dei proprio abiti malsani in favore di una visione più fresca e positiva, che portava un eco di speranza per un futuro quantomeno più colorato rispetto ai fiumi di inchiostro nero che, per un motivo o per un altro, le avevano da sempre macchiato i vestiti.

Come si ripeteva sempre, e come amava ribadire a chiunque le facesse un appunto rispetto al suo nuovo stile di vita, non lo faceva per piacere agli altri, bensì per arrivare ad apprezzare se stessa, cosa che purtroppo non aveva mai fatto abbastanza.

E si, la strada era davvero ancora lunga, ma come detto pocanzi, per lo meno ora il tepore del sole cominciava a sfiorarle la pelle e a farle capire quanto fosse bella quella sensazione di calore che da sempre ricercava e a cui forse, al contrario di quanto si era ormai convinta, non era poi del tutto impossibile ambire.

Non era per nulla facile, per una come lei che da sempre aveva posto su di un piedistallo gli altri, che aveva sempre pensato di essere e di avere qualcosa di meno; non si cambia da un giorno all’altro, e combattere con una testa tanto dura quanto la sua era un terno al lotto C’erano tanti alti e bassi, spesso più bassi che alti, ma quanto le piacevano le sfide, soprattutto se apparentemente estenuanti ed impossibili! E quale sfida più dura, se non una lotta all’ultimo sangue contro se stessa?!


3 Commenti

  1. Lo spunto interessante, poteva essere sviluppato in modo un po’ più vario… L’insieme risulta piuttosto ridondante. Mancano dei fatti, qualcosa che renda un po’ più coinvolgente il racconto. Di fatto, più che un racconto, pare una riflessione sul tema dell’accettazione di sè.
    Alcuni periodi appaiono un po’ troppo lunghi e complessi, appesantendo la lettura. Un brutto errore, forse semplicemente di battitura: “eco” è un sostantivo femminile, l’apostrofo è dovuto!

  2. Leggendo, mi sono sentita immersa in una puntata di “Vite al limite” e mi aspettavo di veder arrivare il dottor Nosaradan da un momento all’altro… il pathos è stato siramente raggiunto ma si è persa l’attinenza con la pastiera!

  3. Ha le caratteristiche di un discorso motivazionale, più che di un racconto a tutti gli effetti.
    La protagonista è ben caratterizzata, ma non è immersa in un contesto, in un mondo che le permetta di agire e di farsi conoscere un poco alla volta dal lettore.
    La palestra potrebbe diventare il suo palcoscenico e tutte le sue riflessioni potrebbero trasformarsi in azioni o in situazioni.
    Le fatiche, le insicurezze, le discussioni con chi crede che lei stia sbagliando non dovrebbero essere raccontate a parole, ma attraverso le azioni. Come direbbe Raymond Carver, “Show, don’t tell!”.

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