9 – Le campane

18 Gen di editor

9 – Le campane

Ci fu un lungo silenzio, rotto soltanto dal suono delle campane. Eravamo in cucina, con la finestra aperta. Mamma era seduta sulla vecchia sedia azzurra, quella con la seduta sbeccata, e graffiava con l’unghia dell’indice proprio in quel punto. Mi rispose solo dopo parecchi secondi: “Ndo let troada?” Le risposi: “Stavo cercando una foto di papà, nel cassetto della credenza”. Un ragazzo con i capelli mossi, una ciocca sugli occhi scurissimi, mi fissava da un giorno preciso di settembre del 1944. Un bianco e nero ormai sfumato in grigio non era riuscito a intaccare il suo sguardo. “L’è ol Dario” mi disse. Dario. Quando ero piccola mamma mi raccontava spesso storie di guerra, e quella di Dario e Alyna era sempre stata la mia preferita. Dario era un bel ragazzo di ventitré anni e lavorava in una ditta di ceramica. Fu lì che incontrò Alyna. Si innamorarono, ma la guerra non lasciò loro il tempo di sposarsi. Dario entrò a far parte della resistenza, gli cambiarono nome e gli affidarono un compito delicato: aiutare gli ebrei che erano sfuggiti alle retate fasciste, a raggiungere la Svizzera. Anche Alyna si era arruolata, sperando di non separarsi da lui. Lei aveva il compito di fare la staffetta per portare le informazioni tra i vari gruppi partigiani. Dario e Alyna si incontravano una volta al mese, per poche ore, sulle rive del lago Maggiore. Mamma appoggiò la foto sul tavolo e la coprì con la mano. Negli ultimi tempi, sempre più spesso, le tremava. Tra le sue dita, alle spalle di Dario, intravidi un lago. Mi aveva raccontato tante volte l’ultimo incontro tra Dario e Alyna. Era un giorno di novembre del 1944 e dal lago Maggiore soffiava un vento gelido. Si erano dati appuntamento a Stresa,  ma non in paese. Scelsero il piccolo cimitero di Brisino. Passeggiarono a lungo, lui avanti e lei dietro. Solo quando furono sicuri che nessuno li avesse seguiti, lui le prese la mano. Da bambina ho fantasticato a lungo su quell’incontro. Mamma mi raccontò solo che avevano parlato fitto, che si erano abbracciati stretti e che la campana della chiesetta del cimitero aveva suonato a lungo. Io sentivo i brividi lungo la schiena immaginando gli abbracci e i baci sparati in bocca, la fretta, la paura di essere catturati, il desiderio che li bruciava dentro. Alyna aveva fatto per lui un maglione di lana verde. Dario l’aveva indossato. Mamma mi raccontò il finale della loro storia solo quando ero più grande. Qualche giorno dopo il loro ultimo incontro, le SS catturarono Dario a Milano e gli trovarono in tasca parecchio contante. Era il denaro che gli alleati passavano ai partigiani per facilitare l’espatrio dei loro connazionali verso la Svizzera. Per questo motivo Dario venne torturato a lungo, prima di essere fucilato. Alyna lo venne a sapere dai ‘compagni’ solo dopo che era morto. Fece di tutto per rivederlo un’ultima volta, ma glielo impedirono. Le dissero che Dario era irriconoscibile, sfigurato. Alyna era invece sicura che avrebbe potuto riconoscerlo dal maglione verde. Ma non lo rivide mai.

Mamma mi restituì la foto, le campane intanto avevano smesso di suonare. “Che bele i campane! I sa de pace” disse. Le chiesi: “Mamma, ma poi Alyna è sopravvissuta?” “L’è insema al sö Dario” disse soltanto. Mi accorsi che era molto stanca e non aveva voglia di ricordare quei tempi. Le diedi un bacio su una guancia e la salutai. 

Mamma morì qualche mese dopo. Un ictus me la portò via in un attimo. Un’esecuzione, senza torture, ma ugualmente crudele. Nel mettere a posto le sue cose aprii anche il vecchio cassetto. Tra le lettere, un biglietto attirò la mia attenzione perché aveva una grafia diversa da tutti gli altri.

Rosi, mia adorata, oggi ho accompagnato una famiglia al confine. Il marito aveva un baule di legno pesantissimo, gli ho detto che era troppo grande, ma non ha voluto sentire ragioni. Avevano due figli, un maschietto di otto anni e una bambina di undici che avevano le scarpe bucate. Sono riuscito in qualche modo a fasciargli i piedi con dei fazzoletti. Con la neve non si scherza. La moglie era incinta e non parlava mai. Mi ha ricordato te che non ti lamenti mai! Presto verrà il giorno che anche noi … non te l’ho mai detto ma voglio almeno cinque figli! Ti mando un bacio Rosy mia (o adesso devo chiamati Alyna?) Tuo Dario.


Valutazioni Giuria

9 – Le campane – Valutazione: 31

Giud.1:
Un fatto storico così importante e caratterizzato da un periodo così triste ed intenso di storie da raccontare ha sempre un effetto emotivo rilevante. Il testo è scritto con un linguaggio adeguato e scorrevole.

Giud.2:
bello il dialetto, mi piace la descrizione della storia d’amore. bella l’idea di usare dei racconti del passato. finale molto bello. coinvolgente per il lettore. tocco in più: la lettera finale.

Giud.3:
Toccante, coinvolgente, scorre benissimo (salvo nell’ultimo periodo: “Avevano due figli… che avevano le scarpe bucate”). Piccola grande storia di guerra, rassegnata tragedia resa con parole semplici che arrivano al cuore.

Giud.4:
“Tra le sue dita, alle spalle di Dario, intravidi un lago” un’immagine ben riuscita. “da un giorno preciso di settembre”: “impreciso”? “baci sparati in bocca” ??? “nero sfumato in grigio”: brutta costruzione. “Mamma mi raccontò il finale della loro storia solo quando ero più grande”: altra brutta costruzione. Così la frase successiva. “Alyna era invece sicura che avrebbe potuto riconoscerlo dal maglione verde.”: voleva vederlo un’ultima volta o doveva fare un riconoscimento di cadavere? “Ma non lo rivide mai” : o “mai più”, oppure “più” “Ti mando un bacio Rosy mia (o adesso devo chiamati Alyna?) Tuo Dario.”: inverosimile.