6 – GOCCIA IN ME (ANAGRAMMA DI SÉ)
- – Ma dove scappi così di corsa, Giorgio? Aspettami, vengo con te…
- – No, non voglio che vieni, ok? Lasciami in pace, una buona volta!
Lei sorrise, quasi materna.
- – Sai che non è possibile.
Sì, lo sapeva.
- – Mi spieghi cosa vuoi? Non ho niente da dirti, non voglio nemmeno dirti nulla, ormai è troppo tardi, il tempo è passato.
Lei abbassò lo sguardo.
- – Non esiste “il tempo”. È tutto “qui e ora”, in eterno. Ieri era il “qui e ora” di domani, domani sarà il “qui e ora” di oggi.
- – Quindi, secondo te, esiste solo il “presente”? Il presente è niente, non appena lo nomini diventa già “passato”… ma basta con questi pensieri inutili. Che cosa pensi di ottenere? Che cosa crediamo di ottenere tutti noi con pensieri di questo tipo? In tanti ci hanno provato, senza cavare un ragno dal buco, con il solo risultato di avvelenarsi la vita perché sono volati troppo vicino al sole. Ci avevano avvertito, i miti, ma non abbiamo ascoltato… e non è nemmeno colpa nostra, ma di questo desiderio di Assoluto che non riusciamo a ignorare, e che preme, forte, sul cervello e sul petto, come un dovere, un’abitudine, una malattia. Vattene, non voglio più sentire niente.
Ancora una volta lei si fece morbida, come seta.
- – Giorgio, ascolta. Capisco come ti senti. E non posso nemmeno darti troppo torto. Ricorda, però, quanto ci amiamo. Io non dimentico quello che abbiamo vissuto, quello che ci unisce, senza rimedio. Quante volte abbiamo riso, quante volte abbiamo pianto insieme magari guardando la scena di un film o ascoltando musica? Sai, come so io, che quelli sono i momenti più importanti e significativi della vita.
Lui la guardò. Gli occhi lucidi e un sorriso scarabocchiato.
- – Non ce la faccio più. Credimi. Cosa serve essere così? Cosa serve comunicare, anche con te? Chi risponde? Chi ascolta? Sono tutti bravi solo a parlare, a volte senza dire nulla, solo per presenzialismo, narcisismo o per far comunque sentire la loro voce, solo per farla sentire, senza che questo migliori nulla. Ho sempre pensato che sul nostro viso ci siano due occhi e due orecchie a fronte di una sola bocca proprio perché dobbiamo guardare e ascoltare molto di più, di quanto dobbiamo parlare. Vedi? Anche questo è un pensiero inutile, raffermo, impopolare, anacronistico… devo continuare? Non vedi come stanno realmente le cose?
Stavolta l’espressione di lei s’irrigidì, gli ficcò negli occhi uno sguardo insostenibile.
- – E cosa dovremmo fare, allora? Lasciarci? Sicuro? Non mi parlare di “realtà”, non esiste, la realtà è quella che costruiamo noi, con gli altri, attimo per attimo. È solo responsabilità nostra, di tutti, se siamo messi così. Potremmo cambiare le cose ora, ma ci vuole volontà, empatia, bisogna mettere un po’ da parte, solo un po’, i propri interessi e il proprio ego per un benessere comune e riscoprirci tutti legati, anche se ci piace pensare di non dover rendere conto a nessuno, anche se fa paura ed è una cosa “scomoda”: pensare che siamo responsabili gli uni degli altri. La tua natura è questa, è agire e pensare come hai sempre fatto, e seguire la propria natura, nella considerazione e nel rispetto di tutti, è una delle poche occasioni che conosco per essere sereni e in pace con se stessi. È anche per questa tua natura che ti amo.
Lui strinse le labbra, toccato.
- – Anch’io ti amo. Ma sono stanco. Forse non mi rendi più felice come un tempo e non dico che sia colpa tua. Sei la mia anima, letteralmente, ma non possiamo essere sempre soli. Devo andare.
Lei lo bloccò con la voce, irresistibile.
- – Dobbiamo solo far l’amore, ancora una volta, come sempre. Vedrai.
In quel momento Giulia si affacciò alla porta.
- – Giorgio, mi hai sentito prima? Il bimbo ha bisogno di essere cambiato. Puoi fare tu?
Giorgio distolse gli occhi dallo schermo.
- – Sì, amore, arrivo, scusa.
Giulia gli soffiò un bacio dalle mani e sparì.
Lui si alzò dalla sedia, spense il PC, e pensò che anche al di fuori di quel fuoco nero su campo bianco che erano i suoi scritti c’era vita degna di essere vissuta, forse non così grande, ma comunque piena di emozioni tangibili e senza troppe frastornanti oscillazioni.
Mentre si allontanava verso la porta, però, si fermò e non riuscì a non voltarsi a guardare la luminescenza che andava spegnendosi già con nostalgia.
Una voce sussurrò, tutt’intorno, dentro e fuori di lui.
Alla prossima, caro.
Valutazioni Giuria
6 – GOCCIA IN ME (ANAGRAMMA DI SÉ) – Valutazione: 27 Gaia: Un racconto pesante, fin dal criptico titolo. Un dialogo straziante fra il protagonista e la sua anima, che lungi dal renderlo pienamente se stesso, pare appensantirlo e tormentarlo. L’alternativa, a dire il vero un po’ angosciante, pare essere feroce: o vivere una vita faticosa e solitaria, ma vera; oppure una vita “facile”, ma superificiale e in qualche modo, non vera. Il richiamo di Giulia che dovrebbe essere gioioso, risulta di fatto una fuga dalla profondità del proprio io… Forse ho male interpretato, ma mi pare proprio che si stia raccontando l’esperienza di una persona incapace di stare nel reale: se è così, il racconto ha una sua coerenza, per quanto possa essere triste. Una nota: il discorso sul “qui ed ora” non regge e, francamente, stona un po’ con il resto. L’uso della lingua è buono. Matteo: L’idea è molto fantasiosa e la forma è piuttosto buona. Il dialogo tra il protagonista e la sua coscienza si rivela, in qualche modo, sorprendentemente reale e concreto. Il centro tematico di questo dialogo non mi sembra però abbastanza preciso. Come se la narrazione girasse intorno al cuore della vicenda, senza mai riuscire a centrarlo definitivamente. Paola: Il racconto sembra incentrato sulla fuga dalla realtà che lo scrittore (se così ho ben interpretato) compie e dalla quale, in ultimo, fatica a staccarsi per ri-immergersi in una realtà più vera ma forse meno intrigante ai suoi occhi. Ma non è forse possibile che sia la realtà ad avere più fascino delle dissertazioni un po’ contorte dei due protagonisti? Una precisazione: il riferimento al “qui e ora” sinceramente non credo sia corretto. “Qui e ora” è solo il presente. Non è possibile effettuare salti temporali con questa locuzione. Pietro: Un tentativo riuscito di dar voce a qualcosa di soffocante, forse alla claustrofobia stessa. Oltre a essere coerente al suo interno, il racconto è anche vero nel senso che questo termine può avere nella narrativa. Ciò non significa che non sia migliorabile: comunicare questa verità in maniera più diretta, ovvero inequivocabilmente e anche a chi non ne ha fatto esperienza diretta, sarebbe il passo ulteriore (passo molto difficile a mio avviso, poiché, se il tema è un «richiamo» assoluto, ogni sforzo di definirlo in oggetti, personaggi, rapporti e così via rischia di tradirlo). |