6 – MANCANZE
Ora lo so: non è sempre vero che le scelte più sagge le compie chi ha i capelli bianchi.
A dispetto dei miei che non perdevano occasione per ripetere il loro consiglio di vita: «Dai retta al nonno, lui ha esperienza, sa tutto.»
E adesso che loro non ci sono più e sono costretto a stare col vecchio li maledico mille volte.
Per essersene andati.
Per avermi lasciato qui.
Per non essere ancora tornati a prendermi.
«Andiamo, dobbiamo muoverci, è l’alba» dice il nonno. Anzi, lo ordina. Lui non ”dice”, abbaia i suoi ordini, sicuro che gli obbedirò.
Ha ragione. Cos’altro potrei fare?
Riempio la bisaccia con i viveri, le borracce con l’acqua.
Poi prendo lo zaino con le poche cose che mi appartengono, il pupazzetto di Hulk, il libro di quarta… Lui intanto schioda le assi con cui la sera prima ha sbarrato la porta.
Ogni volta che entriamo in una casa a me piace fare un giro per capire chi ci abitava, le loro usanze, scoprire piccoli indizi di vita quotidiana, studiare le foto poste sulle mensole impolverate…
Lui non ha queste sensibilità, lui la prima cosa che fa è procurarsi assi per sbarrare porte e finestre. Rompe tavoli, sedie, letti… I chiodi e il martello li conserva gelosamente in uno scomparto segreto del suo zaino, come reliquie sacre.
Lo so che bisogna farlo, ma la cosa mi urta lo stesso.
Dopo che il rito è compiuto lui non si muove dalla postazione che si è scelto, di solito davanti all’entrata, la balestra in grembo, attento.
Io preparo da mangiare, a volte un piatto fresco, se trovo un frigo ancora in funzione con qualcosa di commestibile, altrimenti attingo alle scorte della bisaccia.
Lui non si accorge neanche di quello che mette in bocca, degli sforzi che faccio per offrirgli più di qualche scatoletta di tonno e un barattolo di ceci.
Dopo cena restiamo in silenzio, finché il sonno non mi sconfigge.
Una volta, i primi tempi, in una casa alla periferia di Bergamo abbiamo trovato un camino enorme.
Io mi sono immaginato noi due che chiacchieravamo davanti al fuoco, lui che mi raccontava le sue avventure. Le esperienze che l’avevano portato a ”sapere tutto”.
Non me lo ha neanche fatto accendere, il camino.
«Il fuoco fa fumo, saremo troppo visibili.»
Un filo di fumo nella notte? Lì ho cominciato a capire che voleva a tutti i costi contrariarmi, per un suo sadico piacere.
Lì ho cominciato a odiarlo sul serio.
Siamo pronti, adesso latrerà le solite parole.
«Stammi dietro.»
Esce guardingo, lentamente.
Ormai è quasi certo che i Curvi sono predatori notturni, ma a lui quel ”quasi” basta e avanza per essere prudente in modo asfissiante.
Solo una volta, all’inizio, ne abbiamo incontrato un gruppetto di cinque che vagava di giorno.
Il nonno li ha uccisi con la balestra, cinque colpi precisi, da lontano.
«Dove hai imparato a tirare?» gli ho chiesto.
«In guerra» mi ha risposto mentre passavamo oltre i corpi.
Mi aspettavo che mi raccontasse qualcosa in più, ma niente, il solito mutismo.
Affanculo.
Stiamo andando verso sud, così ha scelto lui.
«Almeno laggiù fa più caldo» è la sua giustificazione.
Camminiamo da mesi, questo sud sembra così lontano. E non sento affatto più caldo, anzi, più passano i giorni più un’aria gelida mi avvolge come una coperta.
Ma non fuori. Dentro.
Dopo qualche ora ci fermiamo a riposare in una radura baciata dal sole.
A me viene subito sonno, il tepore, la stanchezza… Poggio la testa sullo zaino e chiudo gli occhi.
Lui sembra non dormire mai, non essere mai stanco, nonostante l’età.
Un rumore di rami secchi mi sveglia. Lui è già con la balestra puntata verso il bosco vicino.
Due Curvi escono allo scoperto con la loro strana andatura, piegati su se stessi. Una coppia. Guardo meglio, sono mamma e papà. Sono tornati a prendermi, finalmente.
Al nonno non interessa chi sono, se quella è sua figlia. Vedo il dito che si contrae sul grilletto. No, stavolta no, stavolta scelgo io. Lo colpisco con un sasso alla tempia. I capelli bianchi si tingono di sangue. Cade al suolo.
Io corro verso i miei, felice.
Loro si cibano di me. La coperta di gelo si scioglie.
FINE
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