5 – PERCHÉ SONO QUI?

22 Nov di editor

5 – PERCHÉ SONO QUI?

Ricordo bene: quella giornata iniziò nel migliore dei modi, con una mattina da incorniciare e appen­dere nelle stanze della memoria. Era sabato e né io né Stefano dovevamo lavorare, quindi restammo a poltrire fino a tardi, finché lui si alzò per preparare il caffè. Me lo portò a letto e io lo ringraziai nel modo che gli piaceva di più.

Allora perché sono qui?

Ci riappisolammo abbracciati finché squillò il suo telefono. Lesse il nome sul display e andò a chiu­dersi in bagno per rispondere. Avrei dovuto intuire qualcosa, non era nel suo stile nascondermi una telefonata, ma mi sentivo talmente bene che non pensai a nulla.

«Devo andare. Il capo ha bisogno di me. Un’oretta al massimo.»

«Uff…» fu tutto quello che riuscii a dire.

Si vestì in fretta e uscì.

Io rimasi a crogiolarmi sotto le lenzuola, ma non era lo stesso, da sola. E poi la vescica premeva.

Andai in bagno. Quell’adorabile sciocco di Stefano, nell’urgenza, aveva lasciato lì il telefono. Resistetti alla tentazione per tre secondi, poi lo presi e mi sedetti sul trono. Con sorpresa scoprii che c’era il pin di blocco, doveva averlo messo di recente. Sfidai me stessa a scoprirlo, mi piacciono i giochi.

Allora perché sono qui?

Provai la sua data di nascita. No. La mia. Niente. Eccolo… Che dolce, aveva usato la data del nostro anniversario.

La curiosità ebbe la meglio, andai all’ultima chiamata. Una P.

Come si chiamava il suo capo? Giorgio.

Lo stomaco mi si attorcigliò: aveva mentito.

Un tarlo iniziò a rosicchiare, subdolo.

Mi fece andare su WhatsApp, dove trovai una chat con Paola, iniziata da una decina di giorni.

Paola… Chi era quella puttana?

Lessi a caso, la curiosità sostituita dalla rabbia.

Lei, martedì: Devo vederti, stasera. Solito posto. Con l’icona di un letto.

Quella sera ufficialmente aveva lavorato fino a tardi. Bastardo.

Cominciava a non piacermi più, quel gioco.

Scorsi indietro, a una settimana prima, con la vista annebbiata.

Paola: Amore, come stai? Troia.

Lui: Benissimo, dopo stamattina. Mi manchi. L’icona di una bocca

Stronzo figlio di…

Il tarlo mi strappò un pezzo di cuore.

Paola: Non ne ho mai abbastanza, di te. Schifosa puttana.

Lui: A chi lo dici… Icone di baci.

Il tarlo mi strappò l’anima.

Lui tornò dopo molto più di un’oretta.

Io l’aspettavo.

E adesso voi mi dite…

Allora è per questo che sono qui.

Non voglio ricordare di averlo aggredito col coltello, il sangue che sgorgava… E neanche le mie lacrime, la mia furiosa disperazione…

Voglio solo ricordare quella mattina: l’ho incorniciata e appesa nelle stanze della memoria.

FINE




3 Commenti

  1. Racconto ben scritto dal punto di vista tecnico, regala una lettura piuttosto scorrevole. Manca però qualcosa al personaggio della protagonista: il fatto che si riveli capace di uccidere una persona deve essere motivato in modo più concreto e preciso. Ciò che viene descritto fino al momento dell’uccisione sembra invece una normale reazione davanti a un tradimento.
    La domanda “allora perché sono qui?” è la vera spina dorsale del racconto (ottima idea), ma deve essere più concreta e viva, subire delle piccole variazioni a ogni ripetizione, concedere piccoli indizi che ci anticipino nascostamente lo svelamento conclusivo, che ci dicano qualcosa del luogo in cui si trova, così diverso da quello in cui si è svegliata.
    Perché non dare spazio, nel finale, a una descrizione, breve ma accurata, del luogo e della situazione in cui si trova la protagonista? Diventerebbe tutto più reale, sviluppando al meglio gli elementi positivi in ogni caso già presenti.

  2. La trama un po’ scontata è riscattata dal narrare originale, inaspettato. Felice espediente quello dell’anafora (Allora perché sono qui?) che rimbalza dal titolo e culmina nella variante sul finire del racconto (Allora è per questo che sono qui.). Piacevole il ritmo creato dalla rapida alternanza delle frasi lette sul cellulare e i commenti della donna tradita. Ben descritto il crescendo di sensazioni ed emozioni del personaggio protagonista. Buona la chiusa finale che riprende la felice espressione dell’esordio (“l’ho incorniciata e appesa nelle stanze della memoria”), come se nulla fosse accaduto….

  3. Racconto che inizia bene e finisce male. L’antefatto di una bella normalità (il caffè a letto della mattina, il saluto dolce di due’ innamorati’..) cede il passo, a metà, al dubbio, atroce, che incalza e alla fine non regge all’impatto devastante con la scoperta. Segue l’incipit: la giornata era iniziata nel migliore dei modi ma.. Tutto cambia. Dall’intuizione al dubbio alla verità del tradimento la strada è breve: raccontato con un lessico che regge il ritmo della narrazione da piano a forte. Fino all’epilogo di sangue. La storia è discretamente scorrevole e lineare e tiene bene il tempo e la cadenza dei fatti, invogliando il lettore alla rivelazione finale insieme alla protagonista.

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