5 – PERCHÉ SONO QUI?
Ricordo bene: quella giornata iniziò nel migliore dei modi, con una mattina da incorniciare e appendere nelle stanze della memoria. Era sabato e né io né Stefano dovevamo lavorare, quindi restammo a poltrire fino a tardi, finché lui si alzò per preparare il caffè. Me lo portò a letto e io lo ringraziai nel modo che gli piaceva di più.
Allora perché sono qui?
Ci riappisolammo abbracciati finché squillò il suo telefono. Lesse il nome sul display e andò a chiudersi in bagno per rispondere. Avrei dovuto intuire qualcosa, non era nel suo stile nascondermi una telefonata, ma mi sentivo talmente bene che non pensai a nulla.
«Devo andare. Il capo ha bisogno di me. Un’oretta al massimo.»
«Uff…» fu tutto quello che riuscii a dire.
Si vestì in fretta e uscì.
Io rimasi a crogiolarmi sotto le lenzuola, ma non era lo stesso, da sola. E poi la vescica premeva.
Andai in bagno. Quell’adorabile sciocco di Stefano, nell’urgenza, aveva lasciato lì il telefono. Resistetti alla tentazione per tre secondi, poi lo presi e mi sedetti sul trono. Con sorpresa scoprii che c’era il pin di blocco, doveva averlo messo di recente. Sfidai me stessa a scoprirlo, mi piacciono i giochi.
Allora perché sono qui?
Provai la sua data di nascita. No. La mia. Niente. Eccolo… Che dolce, aveva usato la data del nostro anniversario.
La curiosità ebbe la meglio, andai all’ultima chiamata. Una P.
Come si chiamava il suo capo? Giorgio.
Lo stomaco mi si attorcigliò: aveva mentito.
Un tarlo iniziò a rosicchiare, subdolo.
Mi fece andare su WhatsApp, dove trovai una chat con Paola, iniziata da una decina di giorni.
Paola… Chi era quella puttana?
Lessi a caso, la curiosità sostituita dalla rabbia.
Lei, martedì: Devo vederti, stasera. Solito posto. Con l’icona di un letto.
Quella sera ufficialmente aveva lavorato fino a tardi. Bastardo.
Cominciava a non piacermi più, quel gioco.
Scorsi indietro, a una settimana prima, con la vista annebbiata.
Paola: Amore, come stai? Troia.
Lui: Benissimo, dopo stamattina. Mi manchi. L’icona di una bocca
Stronzo figlio di…
Il tarlo mi strappò un pezzo di cuore.
Paola: Non ne ho mai abbastanza, di te. Schifosa puttana.
Lui: A chi lo dici… Icone di baci.
Il tarlo mi strappò l’anima.
Lui tornò dopo molto più di un’oretta.
Io l’aspettavo.
E adesso voi mi dite…
Allora è per questo che sono qui.
Non voglio ricordare di averlo aggredito col coltello, il sangue che sgorgava… E neanche le mie lacrime, la mia furiosa disperazione…
Voglio solo ricordare quella mattina: l’ho incorniciata e appesa nelle stanze della memoria.
FINE
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