5 – E NOI ABBIAMO FAME
Iniziavano i primi freddi, quando venne per me il momento di affrontarne una.
Era il giorno del mio sedicesimo compleanno, e Monica occhilucenti mi aveva regalato una notte da passare con lei, nel capanno vicino al fiume.
Il mattino dopo rimanemmo a crogiolare al caldo morente delle braci fino a che spiovve e un vento gelido di tramontana spazzò via le nubi, mostrando al di là dei vetri i rami bruni degli alberi ingioiellati dalla galaverna.
La creatura ondeggiava sulla riva, muovendosi in cerchio con movenze da pierrot disarticolato.
Ci guardammo stupiti, chiedendoci silenziosamente come avesse fatto ad arrivare fino a lì, visto il modo in cui si muoveva.
La piena, probabilmente.
Forse era caduta in acqua molti chilometri a monte, alcuni mesi prima, e la corrente l’aveva portata fino quel punto, a continuare il suo assurdo girotondo.
“Cecco, che fai lì impalato? Vieni!”
Mentre facevo ipotesi, Monica si era vestita del tutto e mi chiamava dalla soglia.
Di solito, si comportano proprio così. Come burattini che un demente muove sul proscenio del mondo, senza scopo, ragione, schema visibile.
Alcune, però, hanno “imparato” a camminare, a mordere, a nutrirsi e a diffondere il virus che le rende tali.
Pericolose? Niente affatto. Basta non trovarsi nel bel mezzo di un gruppo numeroso di esse, basta non essere sfortunati…
Mentre Monica aveva gettato a terra la creatura sul dorso e la teneva ferma con un forcone, io mi avvicinai.
Era la prima volta che lo facevo, ma, stranamente, non avevo paura.
Con un colpo secco della falce ne staccai di netto la testa che rotolò vicino a me sbattendo impotente le fauci; la spinsi nella gabbia che Monica mi porgeva e cosparsi il corpo, che continuava a contorcersi infilzato a terra dalle punte del forcone, con della benzina e gli diedi fuoco.
Per la testa, sarebbero arrivate le tute bianche.
Non so cosa se ne facessero, però le pagavano bene.
Sì, Monica fu davvero sfortunata.
Forse a causa delle piogge una delle palizzate a fianco del sentiero aveva ceduto, proprio mentre tre creature lo percorrevano.
Non potevamo permettere che se ne andassero a zonzo per i campi, col rischio di infettare le poche vacche da latte che avevamo, così molti di noi uscirono dalle case con pertiche, badili, rastrelli e quant’altro per risospingerle sul sentiero.
Del gruppo, Monica era la più ridicola.
Stava pulendo casa, quando la palizzata cedette. Usci di corsa così com’era: pantaloni di flanella grigia, tuta bordeaux, uno spazzolone di plastica azzurro come arma.
Mentre sospingeva una di esse verso il sentiero, il terreno sotto di lei cedette all’improvviso. Per un attimo sembrò che ce la facesse a mantenere l’equilibrio, poi…
Dicono che sia stata la sua morte a rendermi così feroce, con esse.
Lei, Monica capeldigrano, a cui mozzai la testa appena il suo cuore smise di battere.
Monica che un attimo prima del fendente aveva aperto gli occhi e mi aveva sorriso, come mai prima…
Dicono che sia stata la sua morte.
Può darsi.
Quel che è certo: dovevo essere io, quel giorno, a verificare che le palizzate fossero infisse bene nel terreno.
Stanno, di nuovo, iniziando i primi freddi.
Presto arriveranno, da quelle che un tempo erano le nostre città, segnate all’orizzonte dal grigio scuro del fumo diritto nel cielo appena meno grigio
Arriveranno e noi le spingeremo attraverso varchi sempre più stretti, fino a qui.
Il mattatoio.
E sarà una mattanza lunga e strana, senza sangue, senza urla se non quelle dei nostri bambini eccitati e spaventati nel vedere i corpi senza testa delle creature agitarsi sulle griglie per ore, mentre il calore delle braci distrugge il virus che dà loro una parvenza di vita…
Non è granché, la loro carne. Amara e fibrosa. Occorre rosolarla a lungo, perché diventi appena passabile.
Ma che importa?
Il sole sta morendo, la terra sta morendo, piante e animali stanno morendo.
E noi abbiamo fame.
FINE
Valutazioni Giuria
5 – E NOI ABBIAMO FAME – Valutazione: 18 Gaia: Qual è il senso del racconto? Parlare di Cecco e dell’origine della sua ferocia? raccontare il degrado della terra? raccontare delle creature (non meglio identificate) che lo stanno determinando? Manca il fulcro della narrazione. Diversi punti risultano piuttosto infelici: l’incidente sulle palizzate (descritto in modo poco chiaro, con salti temporali poco funzionali); la testa mozzata alla povera ragazza; i bambini eccitati durante la “cottura” dei mostri… La lingua qua e là scricchiola, ma nel complesso la forma è corretta e il lessico appropriato e non scontato. Matteo: La narrazione è piuttosto confusa. E’ complicato seguire i vari passaggi della storia e il senso generale del racconto è sfuggente. Paola: Un testo mal scritto, con un contenuto povero e decisamente contorto. Le creature di cui si parla non sono definite e non si capisce perché attacchino gli uomini. La figura di Monica, che passa dall’essere giovane amante a sfortunata vittima, non convince. Anche il protagonista manca di carattere. Alcuni errori nella forma. Pietro: Il racconto ha un problema di messa a fuoco (nonché, secondariamente, di montaggio). Se la morte di Monica è lo spartiacque della storia – l’evento che ha determinato la vita del protagonista e che spiega la sua morte interiore (la ferocia nell’uccidere e la rassegnazione a mangiare la carne delle «creature») – allora è proprio questa che va narrata più diffusamente. Il racconto della mattina dei sedici anni spiega, certo, perché Monica fosse così importante per il protagonista, ma non è il piatto forte. |