4 – STASERA
Tutta colpa della pastiera. Questo si sarebbe ripetuto Marta negli anni a venire.
Quel giorno erano le undici passate quando piombò nello studio di Roberto, preceduta dal pancione.
«Devo fare la pastiera, è una cosa…»
Roberto le fece cenno di aspettare, finì di scrivere la frase che aveva iniziato e salvò il file.
Intanto Marta gli era arrivata alle spalle per sbirciare il suo lavoro. Si muoveva lenta, ancheggiando, quindi lui fece in tempo a cambiare schermata: sul monitor il proverbio ”Il mattino ha l’oro in bocca” si ripeteva all’infinito.
«Ma che scemo! Dai, fammi leggere quello che è scaturito dalla tua mente malata.»
«Wendy, quante volte ti ho detto che se senti battere sulla macchina da scrivere…» Girò la testa e, dato che li aveva a tiro, diede un bacione ai gemelli che se ne stavano tranquilli a sguazzare nel loro liquido. Almeno per un altro paio di mesi.
«Stasera» rispose alla richiesta della compagna «Finisco il capitolo e te lo do in pasto per farmi massacrare. Ma che dicevi della pastiera?»
«Devo farla! Mi serve qualche ingrediente.» Tirò fuori dalla tasca una lista e gliela diede. Roberto la scorse velocemente: una ventina di voci, tra cui due tipi di ricotta, due di canditi, grano, uova…
«Arrivo da ”Pasticciaccio” e la prendo già fatta, no?» Cercava di mettere le mani avanti, ben sapendo che sarebbe toccato a lui fare la spesa.
«Assolutamente! E dove sta il divertimento? Voglio farla io… Non vorrai mica che Romolo e Remo escano con una voglia di voglia.»
«E come sarebbe una ”voglia di voglia”?»
Marta fece un gesto confuso davanti al viso: «Così.»
«Poi lo scemo sarei io. Se scendo al Conad qua davanti pensi che troverò tutto?»
«Ma sì.»
«Sappi comunque che non lo faccio per te, ma per Gianni e Pinotto. Non voglio certo che nascano con quella cosa sulla faccia.» Imitò il gesto che prima aveva fatto Marta.
«Ti amo, scioccone.»
«Già, come si ama uno schiavetto. Voi che dite, Dioscuri?» Appoggiò l’orecchio sulla rotondità della compagna e sentenziò: «Sono d’accordo con me.»
«Perché ancora non ti conoscono» rispose Marta coprendogli il collo di piccoli morsi.
«So un modo per farmi conoscere a fondo» disse Roberto toccandole un seno.
Lei ansimava leggermente, ma riuscì a contenersi: «Non ora, stasera. Il Conad chiude.»
Sul pianerottolo Roberto incontrò la signora Passa: piccola, bianca, curva sul bastone col pomolo d’argento.
«Dove se ne va, signora?» le chiese aprendo la porta dell’ascensore.
«Al Conad.»
«Devo andarci anch’io, se vuole le prendo quello che le serve.»
Lei lo fulminò con lo sguardo, pigiando il pulsante T.
Il messaggio gli arrivò forte e chiaro: Che credi, che sia troppo vecchia per fare qualsiasi cosa?
Le sorrise, cercando di farsi perdonare l’inaudita sgarbatezza.
Uscirono dall’ascensore.
«Almeno lasci che l’aiuti ad attraversare.»
Di nuovo quello sguardo, ma in compenso gli porse il braccio.
Si avviarono verso le strisce che tagliavano il vialone.
Peppe, sul furgone della DHL, pensava a Elisa e a come si erano lasciati quella mattina.
Certo, lui aveva esagerato, a mente fredda se ne rendeva conto, ma anche lei non era stata per niente tenera. Ad ogni modo, e questo lei avrebbe dovuto riconoscerlo, era stato lui per primo a fare ”mea culpa” mandandole un messaggio con una faccina triste e il testo che diceva soltanto ‘Parliamone, ti va?’
Non si aspettava una risposta veloce, di sicuro Elisa l’avrebbe tenuto sulle spine per tutta la giornata, orgogliosa com’era. Invece la risposta arrivò verso mezzogiorno. Al suono della notifica Peppe prese il telefono e lesse ‘Ok, stasera’. Perfetto, il primo passo era fatto.
Quando rialzò gli occhi dal cellulare era troppo tardi, frenò ma non servì, andava troppo veloce: prese in pieno le due persone che lentamente stavano attraversando sulle strisce, uccidendole sul colpo. L’impatto fece aprire l’airbag, mentre un bastone col pomolo d’argento volava in aria.
Marta, spaparanzata a lisciarsi il pancione, stava dicendo ai gemelli quanto fossero fortunati ad avere un padre meraviglioso. Allo stridio della frenata un brivido freddo le percorse la schiena.
FINE
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