34 – Pastiere & zombie

3 Dic di editor

34 – Pastiere & zombie

Tutta colpa della pastiera. E così era morto. Morto, morto. Definitivamente. Non che fosse poi tanto male…

Si era risvegliato il giorno X con una fame insostenibile. Un buco allo stomaco che poi si era accorto esserci per davvero. La pelle e le carni erano consumate proprio lì, appena sotto lo sterno. Aveva teso le braccia in su e con uno sforzo si era messo a sedere. Le braccia erano rimaste tese, le mani ricadevano a penzoloni così come la testa. Emise un grugnito incomprensibile. Era diventato uno zombie.

Intorno a lui l’atmosfera era freddina, non che ci si potesse aspettare qualcosa di diverso da un obitorio. Vide una luce provenire da sotto la porta e decise di seguirla: cadde rovinosamente dal lettino metallico sul quale fino a poco prima giaceva senza vita, battendo a terra prima la spalla, che si incrinò all’insù, e poi il ginocchio sinistro, che si spostò verso l’interno in una posizione davvero poco naturale; in qualche modo si rimise in piedi e si diresse zoppicando verso la porta che si spalancò davanti a lui, non per magia ma perché si era scontrato con il maniglione antipanico.

Il corridoio era illuminato da una luce asettica ed era completamente deserto, sia a destra che a sinistra. Scelse una direzione a caso e barcollò fino a raggiungerne il fondo dove una finestra aperta si affacciava sulla notte, illuminata solo da qualche lampione, e sigillava la fine del percorso. Per un essere umano vivente e ragionante. Per lui non sigillò proprio nulla: continuò il suo percorso ma in caduta libera, arrestandosi con un rumore di ossa rotte poco più in basso. Fortunatamente l’obitorio era solo al primo piano.

Si raddrizzò di colpo, la mandibola ruotata di una trentina di gradi e un nasino all’insù, degno del miglior chirurgo plastico. Lo stomaco ululò, ma forse fu solo il rumore del vento freddo che attraversava il buco che aveva nella pancia. Lo interpretò comunque come fame. Fame di qualcosa di buono. No, non di cervello umano che, falsamente, si crede essere il cibo preferito dagli zombie. Fame di qualcosa di cui era sempre andato ghiotto. E si diresse, con quella sua andatura davvero curiosa, verso la sua pasticceria preferita (di quando era in vita).

Era notte fonda: poche erano le auto ancora in circolazione e pochissimi i passanti, che si limitavano a lanciargli occhiatacce scambiandolo per un ubriacone da evitare. Arrivò alla sua meta tre ore dopo, sebbene distasse solo qualche chilometro dall’obitorio. Lungo la strada era caduto molte volte e ora il suo piede destro era girato “en dehors” come quello di una ballerina; non si poteva certo pretendere dal poveretto una grande velocità negli spostamenti.

Non era stato facile nemmeno entrare in pasticceria, perché non poteva certamente aprire la porta d’ingresso girando la maniglia: era uno zombie e gli zombie non aprono porte, le sfondano. In gruppo, di solito, e lui era solo. Allora aveva sbattuto ripetutamente contro il vetro della vetrina che solo verso mattina aveva finalmente ceduto. A quel punto era entrato nel negozio, non prima di aver inciampato nell’intelaiatura metallica della vetrina, caracollando rovinosamente a terra dove si era tagliato con i vetri infranti, mentre avanzava sul pavimento strisciando e cercando di rialzarsi, le mani e il viso come puntaspilli di vetri appuntiti. Non era esattamente un bel vedere, ma nemmeno in vita era mai stato poi tanto bello.

Ed eccola là: esposta sul bancone, la sua tanto agognata pastiera napoletana. Con la bava che colava dalla mandibola storta, dei suoni gutturali di eccitazione e le mani tese (ma quelle fanno parte del pacchetto “zombie”), si avventò sul dolce e cominciò ad ingurgitare, facendo schizzare pezzi di frolla e ricotta tutto intorno a lui e attraverso il buco allo stomaco. Ah, il profumo di fiori d’arancio! Quante volte era andato al supermercato ad acquistare l’aroma per sua moglie. E mentre si abbandonava ai suoi confusi ricordi di zombie, era completamente ignaro di ciò che invece tra poco noi sapremo: che la pastiera sta agli zombie come l’aglio ai vampiri.

Pensavate bastasse colpirli alla testa, eh?

E, invece, ecco: una fitta lancinante alla pancia forata e si accasciò a terra, morto. Non più non-morto ma morto. Morto, morto. Definitivamente. Tutta colpa della pastiera.


3 Commenti

  1. Questa horror story non fa paura a nessuno (ma non era quello l’intento direi), diverte. E’ buffa e goffa, come lo sono i movimenti del nostro zombie, così ben descritti dal narratore.
    Una domanda sorge spontanea: come mai è non morto la prima volta? Sarebbe stato interessante saperlo!

  2. Racconto molto divertente. L’idea del buco allo stomaco è davvero ottima.
    Suggerisco di anticipare la sua specifica voglia di pastiera, così da rendere più efficace la comparsa in scena della stessa.
    Dal punto di vista della forma il racconto è piuttosto buono, ma alcuni passaggi potrebbero migliorare ulteriormente. Cercherei di rendere la descrizione delle sue azioni ancora più incisiva e divertente.

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