3 – Il testimone
Ci fu un lungo silenzio rotto solo dal fragore assordante dei tuoni che si inseguivano come cavalli fiammeggianti nel cielo nero come l’antro di una caverna, in quella fatidica notte d’inverno del 373 a. C..
In fondo alla valle, le capre belavano impaurite, spingendosi l’un l’altra nel tentativo di sfondare le robuste palizzate del recinto che le tenevano prigioniere. Il cavallo aveva strappato la logora cavezza legata all’anello di fianco alla capanna. Ora correva scalciando in fondo al sentiero che conduceva al sacro boschetto di Poseidone.
“Oh, oooh!” Alceste, il capraro, urlava sopra la rocca mentre si faceva strada con la fiaccola accesa. “Oh, oooh!” ripeteva l’eco tutto intorno. Era in cerca della capretta che rincorrendo la sua curiosità si era avventurata in un mondo ancora nuovo ai suoi occhi innocenti.
Le nubi gravide di pioggia non ressero più il peso e si riversarono sulla terra a lavare l’empietà degli Achei che avevano cacciato i supplici fedeli Ioni dal santuario di Poseidone Eliconio, trucidandoli sull’altare.
Il servo-pastore per mettere al riparo la fiaccola, si infilò sotto un costone incavato nella roccia, mentre la capretta sopra di lui si lamentava atterrita, annusando nell’aria quel vago ricordo di odore del vello materno.
Il ragazzo tremando con il viso nascosto sotto il mantello di lana umida pregò gli dei che lo aiutassero a mantenere la calma. Si sollevò un turbinio di vento che fece scricchiolare intorno i rami piegati dalla sua furia, ma trascinò la tempesta verso il mare plumbeo che mugghiava in lontananza, rischiarato dal lugubre e intermittente chiarore dei lampi.
In quell’attimo di calma apparente Alceste si alzò e guardando in alto incontrò il muso implorante della bestiola.
Nello stesso istante un forte boato e uno sconvolgente tremito percorse la terra.
I massi come balle di fieno rotolavano intorno a lui che abbracciò, appena in tempo, il ramo di un mirto, ancorandosi saldamente come un figlio alla madre che non aveva mai conosciuto. La capretta franò giù insieme a sassi e terriccio, annaspando con gli zoccoli puntati al cielo.
Alceste, con il fiato sospeso per lo sforzo e la paura, si ritrovò con il viso rivolto in giù, verso la ricca e opulenta città lontana, che ora si accasciava su se stessa come un fragile castello di carte. Da essa si sollevò una gigantesca nube di polvere che gli impedì di vedere l’imponente tragedia che vi si stava consumando. Il promontorio su cui sorgeva la ridente città greca di Elice, affacciata sul golfo di Corinto, si spezzò come il pane appena sfornato sulla mensa, sprofondando in un ribollire di acqua fangosa e mefitica. In un paesaggio diventato surreale, Alceste assistette, inerme, a tutta la potenza distruttrice del dio infuriato.
All’improvviso all’ orizzonte, sotto i riflettori della funerea luna, comparve un gigantesco muro d’acqua che si sollevava sempre di più, man mano che si avvicinava alla costa. La invase, avanzando per chilometri fino a lambire i piedi della montagna sacra. Sradicò le poche rovine rimaste, spegnendo sorrisi e cancellando vite umane. Si intravvedevano a malapena le cime degli alberi più alti. Poi, lentamente, come un mostro vorace sazio della sua preda, mollò la presa, si ritirò portandosi dietro persino le ossa di quella miserabile progenie.
Ritornò il silenzio.
Alceste, con le guance rigate di pianto comprese di essere rimasto ancora più solo.
Poseidone lo aveva risparmiato affinché testimoniasse al resto del mondo che Elice non esisteva più.
Valutazioni Giuria
3 – Il testimone – Valutazione: 24 Giud.1: Racconto mitologico ben descritto con un linguaggio scorrevole e piacevole. Giud.2: bella l’idea del mondo greco. descrizioni coinvolgenti. finale non scontato. coinvolgente per il lettore. Giud.3: “Tuoni come cavalli fiammeggianti”, “il recinto le tenevano”. Virgole mancanti. Troppe metafore, ma alcune immagini rendono la drammaticità della distruzione Giud.4: “Ci fu un lungo silenzio rotto solo dal fragore assordante dei tuoni che si inseguivano come cavalli fiammeggianti nel cielo nero come l’antro di una caverna”…. manca la punteggiatura e così via via nel corso della narrazione. “le capre… l’un l’altra” è un errore. “s’infilò sotto un costone incavato”: o nell’incavo scavato in un costone, o sotto un costone. “franò giù”: è un po’ come “salire su”. “ancorandosi saldamente come un figlio alla madre che non aveva mai conosciuto”: se non l’ha mai conosciuta… metafore non molto centrate. ammetto che amo il genere ed apprezzo lo sforzo. Consiglierei di coltivarlo, ma con più cura e meno, molta meno abbondanza … |