26 – Rimpianti

8 Dic di editor

26 – Rimpianti


Ora lo so: non è sempre vero che le scelte più sagge le compie chi ha i capelli bianchi. E i fili candidi che mi rimangono in testa si contano sulle dita di due mani, quindi dovrei saperlo bene, no?

Abbasso lo sguardo sui gesti esperti di Irma che mi aggiusta il pannolone e, con uno sforzo esagerato, sollevo il sedere per farmi tirare su i pantaloni del pigiama. Mi chiedo come riuscissero queste gambe a portarmi in bagno e farmi alzare dal water soltanto un anno fa.

Ma immagino che il declino sia come la felicità: non lo riconosci mai quando ci sei dentro.

“Dottore, perché guarda me così?” domanda Irma col suo accento ucraino che si va smussando di mese in mese.

Appoggio una mano sullo sterno. Il dolore al petto oggi è insopportabile. “Pensavo, Irma. Mi capita spesso negli ultimi giorni…”

“A che pensare?”

Mi sfugge un sospiro. “Penso che tutte le nozioni che ho acquisito negli anni, tutta la conoscenza che inseguo da quando ho conosciuto l’ambizione… alla fine dei giochi, non contano proprio un bel niente!”

Irma mi guarda strano, ma darle in pasto questi pensieri ha un non so che di catartico. Sospetto che capisca al massimo un quinto delle parole che uso, ma, per sua sfortuna, è l’unica che possa ascoltare i deliri di questo vecchio.

Sfioro coi polpastrelli le costole dei volumi organizzati con cura accanto al letto. “Li vedi tutti questi libri di medicina? Sono stati la mia vita per più di cinquant’anni. Questi e l’ospedale. Ho inseguito la carriera come fosse la mia dose di cocaina e, quando non c’era più niente da inseguire, mi sono nutrito di conoscenza. Ho riempito il cervello fino alla nausea, per non sentire l’eco del vuoto che mi stavo scavando nel petto.”

Irma annuisce convinta. “Lei ottantadue anni e cervello buonissimo!”

Sento l’amarezza di un sorriso sulle labbra. “Già. Che fortuna, eh? Un cervello affilato in un’enorme casa vuota. Sai, Irma, a vent’anni non ero così. A vent’anni, quando ho conosciuto la donna più dolce e passionale che esistesse sulla faccia della terra, io ero proprio come lei. Per cinque anni ho aggirato il coprifuoco pur di passare insieme ogni minuto, sono persino fuggito di nascosto dalla stretta sorveglianza di mio padre per farla diventare mia moglie. Lui mi voleva sempre a studiare, ma allora ero più saggio di così… saggio come non lo sono più stato.”

“Lei no ha moglie, Dottore.”

“No, Irma, non ce l’ho più una moglie. Ma ce l’avevo: Lucia. La presenza più solida che abbia conosciuto in tutta la vita. Pensa che io non sono mai rientrato a casa prima di mezzanotte e lei mi ha lasciato la cena in caldo per ben quindici anni prima di stancarsi di vivere con un marito fantasma.” Un pesante macigno mi chiude la gola, mentre l’aroma del ragù ci raggiunge dalla cucina, risvegliando frammenti di una vita consumata. “Fu una di quelle sere che mi chiese di scegliere. Mi disse: ‘guardami negli occhi e giurami che ami più me del tuo lavoro’. E io non risposi. Dannato codardo! Non risposi… Tutti quegli anni passati a costruirmi un nome erano serviti soltanto a imbiancarmi i capelli e svuotarmi il cuore.” Mi asciugo le guance umide, un battito frenetico che mi rimbomba nel petto. “L’ho lasciata andare via con nostro figlio, Irma. Ma ho fatto anche di peggio: non li ho più cercati, non ho chiesto perdono. Non so neppure da che parte di mondo si siano rifatti una vita. Se avessi lottato per loro, forse adesso non sarei un patetico vecchio che sta per morire da solo, in una casa troppo grande per lui. Ma è così che funziona, no? Affronti la vita a testa bassa finché, alla fine, un allarme ti risuona in testa, ma sei troppo stanco per alzarla.”

“Dottore deve stare tranquillo!” Vedo Irma afferrare il telefono e mi accorgo che sto quasi affogando nei miei singhiozzi, ma non so come fare a fermarli.

“Aiuto! Dottore sta male!”

Il dolore al petto mi toglie il fiato. Stringo gli occhi e tutto ciò che vedo è il volto sfocato di Lucia.

“Mi… dis-piace…” La forza di parlare mi sta abbandonando, ma devo pronunciare le parole che non sono mai riuscito a dire prima. Devo chiedere scusa a Lucia, a mio figlio, a me stesso.

Mi fa male il cuore… Proprio l’organo che ho studiato con passione per tutta la vita.

Ironico che sia proprio lui alla fine, a portarmi via.


4 Commenti

  1. Racconto ben scritto.
    Non avrei aggiunto altro, se la mancanza di un evento scatenante all’origine dei pensieri del dottore non rischiasse di farli apparire come uno sfogo gratuito. Un dettaglio qualsiasi, purché straordinario rispetto alla vita quotidiana del dottore, avrebbe aiutato ad ancorare meglio i suoi pensieri alla realtà, evitando al lettore la sensazione che quello raccontato sia un giorno qualsiasi della sua vita.
    Una menzione anche per il dualismo cervello-cuore che, importante per il finale, arriva un po’ tardi senza essere annunciato (almeno non esplicitamente).

  2. Il racconto riesce davvero a emozionare, grazie al dialogo molto ben costruito tra il vecchio dottore e la donna che lo aiuta. Un dialogo che a tratti si fa quasi monologo, riuscendo sempre a rimanere molto potente.
    Molto efficace, fin dall’inizio, la descrizione del decadimento fisico, grazie a poche frasi molto concrete.
    Ai rimpianti si giunge per gradi, li si esplora con pazienza e li si comunica con energia.
    L’unico appunto che mi sento di fare riguarda le parole usate dal vecchio, che non mi sembrano sempre naturali (considerato il contesto), soprattutto nella prima parte. Nella seconda invece le emozioni sono talmente forti che anche le parole utilizzate sono sempre quelle giuste.

  3. Un racconto denso di vita e di rimpianto. Coinvolgente e commuovente. Il giovane dottore dimostra una saggezza nelle scelte su cui poi il mondo, con le sue insane logiche, prende il sopravvento.
    Lo stile è lineare e ben costruito

  4. Una storia intensa, molto triste, ma raccontata con sobrietà e senza sbavature. L’incipit è suffragato dalle amare constatazioni del protagonista, ormai giunto al termine di un’esistenza condotta “in apnea”, senza fermarsi a considerare ciò che veramente conta. Ma ormai è tardi: aver capito non aiuta. E’ resa bene anche la figura della badante, pur con brevi accenni. L’esordio così “squallido”, con la descrizione terribilmente realistica e prosaica del degrado del corpo invecchiato, è un ottimo contraltare al successo del grande medico e contestualizza perfettamente la disincantata riflessione sulla vacuità delle scelte fatte. Ben strutturato, ben scritto: un buon lavoro.

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