22 – S.P.Q.R.
“Ora lo so: non è sempre vero che le scelte più sagge le compie chi ha i capelli bianchi, poi che mentre l’esperienza rafforza il senso di cautela, l’ardimento è proprio della giovinezza e se ci son circostanze le quali giudiziosamente ammoniscono d’essere avveduti, ve ne sono che ugualmente esortano all’audacia”
Come l’abile scultore avrebbe inciso la pietra per mezzo di colpi scrupolosi e fermi, Marco Fabio Ambusto declinò sapientemente il suo esordio.
Riempiendo l’aria con la teatralità dell’oratore insieme epidittico e giudiziario, declamava la sua arringa più importante, nel tentativo di ottener graziata la vita di Quinto Fabio Massimo, suo figlio.
Si era appellato di fronte al Senato allo strumento della provocatio ed ora Campo Marzio tuonava di centomila romani in armi, chiamati al giudizio di clemenza.
Dietro il quadriportico si ammassavano le 193 centurie, opportunamente divise e bardate di armamenti secondo il censo. Lungo i 1300 piedi del colonnato perimetrale, si udivano sconquassare gladi e lance contro gli scudi e strepitare fabbri, accensi e suonatori di corni.
Sfavillavano sparsi i bronzei ornamenti dalle ombre meno profonde dei vestiboli.
Nell’aria i fiati ed il sudore mescevano afrori violenti, malcelati dagli incensi liturgici.
Ambusto entrò dalla porta nord, facendosi largo tra le toghe purpuree.
Prima di pronunziarsi avanzò nell’arena, staccandosi dalla schiera dei senatori, solo, senza nemmeno la sua ombra, che il sole troneggiava solenne.
Giunto a quaranta passi dai tribuni, che in prima istanza avevano formulato la sentenza di morte, si fermò. Tra i magistrati uno scranno vuoto, di fronte al quale autorevole ed austero, si ergeva nella lucente armatura il dittatore che stava pretendendo la vita del figlio: Lucio Papirio.
A metà strada, nel mezzo dello stadio, il giovane magister equitum ridotto in catene, per aver trasgredito il preciso ordine di non attaccare il nemico.
Ambusto riprese:
“Sapeva di andare incontro alla morte
L’ordine di attaccare i barbari Sanniti, l’avrebbe pagato con la vita, se non in battaglia, per le leggi della Repubblica
Ma egli ha l’impudenza dell’età e l’arguzia del condottiero,
ha il cuore dei Fabii che s’immolarono per la nostra gloria,
ha il coraggio di un soldato romano, pronto al sacrificio,
Quinto Fabio Massimo ha il mio sangue, ma è figlio di Roma!”
L’oratore conosceva bene le sue genti ed il profondissimo senso di Patria. Fu così che conferì alle ultime parole una tale potenza vibrante, che infiammò il cielo sopra Campo Marzio delle urla ancestrali di un popolo compatto
Concluse:
“Papirio Cursore uomo esperiente e pio, venne a chiedere consiglio agli auguri e quale stratega valentissimo, allentò con la sua assenza la guardia dei nemici.
Per le sue virtù rese possibile a Roma la vittoria, che il fedele Magister ebbe il solo merito di cogliere prontamente”
Con sottile acume lasciò a Papirio un onore che gli era inevitabilmente sottratto, elevando il figlio a martire e paladino.
Erano gli attimi decisivi che precedevano la sentenza.
Il tumulto del popolo si chetò irrealmente
Tra loro stringeva nelle manine il suo cavallo di legno il piccolo Quinto Fabio, che avrebbe oscurato la fama del nome paterno.
Il tiranno decretò la decisione ultima contro quella del popolo.
I littori abbassarono i fasci: morte!
Già gli era stata strappata l’uniforme, quando Quinto Fabio si gettò ai piedi del dittatore chiedendone il perdono.
Arduo a descriversi quanto avvenne
Di fronte al senso umano del suo campione, il popolo romano elevò agli dei, ritmato e portentoso, il nome dell’eroe: “Fa bius – Fa bius – Fa bius”
Papirio obtorto collo, pronunciò queste precise parole:
«Sta bene, o Quiriti: ha vinto la disciplina militare, ha vinto il comando supremo, che avevano rischiato di perire in questa odierna giornata. Quinto Fabio, che ha combattuto contro gli ordini del suo comandante, non viene assolto dal suo reato ma condannato per il crimine commesso, viene graziato per riguardo al popolo romano, che ha elevato suppliche in suo favore e non per intercessione legale. Vivi, Quinto Fabio, fortunato più per il consenso della città nel proteggerti che per la vittoria. Vivi, malgrado aver osato compiere un’azione che neppure il padre ti avrebbe perdonata, se si fosse trovato al posto di Lucio Papirio»1
1discorso originale
4 Commenti