22 – LA NOTTE
Ricordo bene: quella giornata era iniziata nel migliore dei modi. Del resto, non vi erano mai stati particolari turbamenti, nei miei risvegli. Andavo a comprare il pane ancora caldo, sedevo con la famiglia al completo e facevamo colazione. Un meraviglioso quadretto da spot anni ottanta. Poi, infilata la giacca, davo un modesto bacetto alla devota consorte e andavo a lavorare. Una vita priva di qualsiasi emozione vera. Almeno in apparenza. Già perché, prima di quel giorno, dove la mia esistenza ha cessato di esser tale, la mia vita era condensata con la notte.
La notte è di classe. Non appena cala il sole e la cecità si fa largo tra le strade, le categorie umane si dividono. Essa è realismo spietato, capace di annullare qualsivoglia trucco e rappresentazione artificiale. Le ore fra il tramonto e l’alba catalogano infallibili i suoi utenti dividendoli in elenchi categorici: quelli che vanno a dormire, i sempre maggiori lavoratori a turno e coloro che la notte la “vivono” come faccio io, alimentando i mie desideri, sfruttando le miserie umane.
La notte affronta senza falsi pudori tutto quello che cerchiamo di nascondere durante il giorno.
La moltitudine di gente senza casa, si accartoccia su sé stessa per cercare calore mentre le stimate persone della società, come me, gli gettano addosso le sigarette esaurite. Ci sono i ladri. Piccoli o grandi topi che frugano negli appartamenti, automobili, negozi in cerca di modeste ricchezze mai possedute. I tossici di ogni droga, da cui ogni tanto mi rifornisco per alzare l’asticella del divertimento. Per loro la notte è l’inferno di una dose non trovata, della necessità di recuperare denaro, di lancinanti dolori e di solitudine immensa.
E poi ci sono loro, i nostri giocattoli proibiti: le prostitute, i transessuali, venditori e venditrici di sesso facile e, talvolta anche di qualche istante di sembianze d’amore e gratificazioni. Simboli esagerati di rapporti umani, dal senso comune censurati, ma abbondantemente indotti alla moderna, estrema, mercificazione del tutto.
Frequentavo Ursula da un po, prima di quel giorno. Arrivavo silenzioso, sempre vestito di nero e in pochi secondi doveva comprendere le mie esigenze. Poi, sudato ed eccitato, sudicio di desiderio e trasgressione, mi appartavo con lei che accontentava il mio spasmodico bisogno di sentirmi un onesto e incorruttibile cittadino mentre mercanteggiavo la mia prestazione.
Ecco gli esseri della notte, le tenebre tanto temute. Simbolo della povertà pecuniaria o umana. Come mi accadde quel giorno. Mi sono spinto troppo in la’. Volevo provare l’ebrezza allo stato puro ma, alla fine, le mie mani hanno stretto troppo il suo fragile collo e lei non ha più parlato. Erano le quattro, cinque del mattino, dove tutto appare in una totale immobilità. Ho telefonato io alla polizia e, quando sono venuti per arrestarmi, c’era anche mia moglie. Non ha detto nulla. Sul suo volto l’amara consapevolezza di aver sempre saputo tutto di me e la tacita speranza che non oltrepassassi il limite. Ma quel giorno è accaduto. E il mio regno di cartapesta è stato distrutto dalla luce del sole e dall’ abbagliante verità. Oggi esco di prigione. Nessuno è venuto a prendermi. Non ho una destinazione dove andare allora aspetto che arrivi la notte. Vago per cercare riparo e, infine, vengo accolto da coloro di cui, per anni, ho abusato.
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