20 – L’abbandono

28 Dic di editor

20 – L’abbandono

Iniziavano i primi freddi, era il 29 dicembre del 2012, attaccata con la faccia alla finestra ammiravo la neve cadere in silenzio: “la mamma se ne va” sento dire verso la mia direzione; mi guardava dritta negli occhi, non c’era affetto ne tanto meno amore nel suo volto.
Avevo tre anni quando mia madre mi ha abbandonato, sola in bagno con le calze a maglia tirate giù fino ai piedi ho sceso le scale singhiozzando, nessuno mi avrebbe sentito.
“La mamma se ne va”, nella mia testa c’era solo questo, ma perché?, cosa avevo fatto per farla arrabbiare tanto da non volermi più?. Seduta per terra con il naso gocciolante avevo scoperto per la prima volta il dolore, quello che ti strizza il cuore finché non ne rimane niente, sono stata due giorni e due notti da sola a casa, il buio iniziava a scendere e io ero troppo bassa per arrivare all’interruttore della luce, quindi con le ginocchia strette tra le braccia e un freddo gelido cercavo di tenermi al caldo dondolandomi avanti e indietro. Nel frigorifero avevo trovato solo un cetriolo e del ketchup, era molto freddo e mi facevano male i denti a morsicarlo ma avevo fame e l’ho mangiato.
Quando mi sono svegliata pensavo fosse stato tutto un sogno, barcollando mi sono diretta nella stanza di mia madre chiamandola ad alta voce ma non avevo ottenuto risposta, con le braccia lungo i fianchi avevo urlato il suo nome in modo isterico.
Decido di sedermi davanti alla porta di casa, convinta che la mamma da un momento all’altro sarebbe tornata da me. Non so per quanto tempo sono rimasta ad aspettare, ma dal giorno era calata la notte, tremavo dal freddo, le mie calze a maglia erano ancora lungo i piedi, non avevo la forza di tirarle su, avevo solo tre anni e avevo in mente l’immagine di una mamma violenta e anafettiva. Mi picchiava sempre, diceva che nessuno mi voleva bene, forse aveva ragione, nemmeno lei mi aveva voluto. Ferma davanti allo specchio volevo capire cosa avessi di tanto brutto da non permetterle di amarmi, ma di occhi ne avevo due, avevo un naso e dei capelli, avevo dieci dita delle mani e dieci dei piedi, non capivo cosa fosse, forse avevo una voce brutta? Forse urlavo troppo oppure ero capricciosa? Che cosa spinge una mamma ad andarsene? Non esistono delle risposte a queste domande.
La mamma non sarebbe mai tornata, avrebbe scelto di vivere la sua vita con il ricordo dei miei occhi che la imploravano di restare. Perché non mi importava se fosse violenta, se non mi amasse, se non potevo piangere tra le sue braccia, non mi importava se non mi voleva, era mia madre. Due giorni dopo sono stata trovata da una vicina di casa gentile, ero troppo arrabbiata per farmi toccare, non avevo mai smesso di piangere e di tremare.
Sono stata portata in un posto che chiamano casa famiglia, qui sono tutti gentili ma io voglio tornare a casa dalla mamma ma loro mi dicono che arriverà una nuova mamma a prendermi, io non volevo una nuova mamma io volevo la mia! “NO” urlo con le mani aggrappata al lenzuolo, gli educatori cercavano di staccarmi dal letto per portarmi a conoscere la nuova mamma ma io non ne volevo sapere, alla fine, costretta e con gli occhi rossi e gonfi mi sono trovata davanti ad una donna, anche lei aveva due occhi, un naso e dei capelli come me, i suoi occhi erano belli e la sua voce era calma, anche lei stava piangendo: “perché piangi?” Le chiedo puntandole il mio piccolo dito sul viso, lei non ha mai risposto a quella domanda, mi ha stretto a se con tutte le sue forze, avevo finalmente capito quello che il mio cuore sentiva, avevo bisogno di una mamma che mi desse amore, forse poco importava se fosse stata la persona che mi aveva partorito, avevo davanti una persona alla quale la mia voce non dava fastidio e mi guardava in modo dolce, mi accarezzava il viso. “Ti va di venire con me?” Mi chiede piano.. il cuore mi batteva forte “si” le dico con un filo di voce, ci siamo strette la mano con tutta la forza che una bambina di tre anni poteva avere, quel si mi avrebbe salvato la vita per sempre. Avevo trovato una casa, dei Natali e dei compleanni, avevo trovato l’amore vero. Non serve generare un figlio per essere una madre, serve solo amore, serve averne tanto e soprattutto serve aver voglia di farlo senza riserva. La mamma è chi ci ama non chi ci genera e chi ci abbandona.


Valutazioni Giuria

20 – L’abbandono – Valutazione: 17

Gaia:
Una storia di abbandono alquanto brutale. Il punto di vista della bimba di appena tre anni è incompatibile con il tenore delle riflessioni fatte. Trattato in modo troppo sbrigativo il passaggio dal rifiuto di una nuova mamma alla accettazione della amorevole madre affidataria: evidentemente lo spazio narrativo è troppo ristretto per argomentazioni così delicate e complesse. Il finale suona ridondante e fastidiosamente moraleggiante. Poca coerenza nell’impiego dei tempi verbali.

Matteo:
L’uso dei tempi verbali è incostante e spesso errato. Il punto di vista dovrebbe essere quello di una bambina di tre anni, ma ci sono delle palesi intrusioni da parte di un narratore più adulto, che rendono il racconto poco credibile.

Paola:
L’idea è bella ma ci sono alcuni errori di fondo che rendono il racconto meno efficace. Sul piano stilistico c’è un inprappropriato uso dei tempi verbali che inficia la lettura. Sul piano concettuale avrei spostato più in là l’età della piccola protagonista. Una bambina di tre anni sola in casa sarebbe uscita prima o comunque sarebbe stata notata prima su un pianerottolo, soprattutto se figlia di una madre violenta e inaffettiva (i vicini sarebbero stati all’erta), inoltre la bimba dimostra di avere dei pensieri troppo sofisticati per avere solo tre anni.

Pietro:
Da mamma a mamma, il racconto complessivamente fila. Alcuni passaggi sono troppo veloci e solo accennati (ad esempio «qui sono tutti gentili ma io voglio tornare a casa dalla mamma ma loro mi dicono che arriverà una nuova mamma a prendermi, io non volevo una nuova mamma io volevo la mia!»), altri interrompono la visone – ben fatta – attraverso gli occhi della bambina (come «avevo solo tre anni e avevo in mente l’immagine di una mamma violenta e anafettiva»).
L’uso errato dei tempi verbali rende difficile la lettura.