2 – CENERE
«Ma dove scappi così di corsa, Giorgio? Aspettami vengo con te» gli grido dalla camera.« E’ mattina Rosa. Devo sbrigarmi. Il treno non aspetta!» In un secondo ricordo che oggi è il giorno della sua partenza. Giorgio sarebbe andato a Basilea, dove lo attendeva un ottimo impiego. Per intere settimane mi aveva assicurata che la nostra relazione avrebbe retto anche alla distanza, ma, dentro di me, sentivo che quello era un addio. Seduta sul balcone mi accendo una sigaretta e, dall’alto lo saluto, mentre si affretta a raggiungere la stazione. Il mio pianto disturba la tranquillità della città. Mentre sto per rientrare, la ringhiera del terrazzo inizia a tremare. Oddio! E’ il terremoto? Rientro in casa veloce e mi accuccio sotto il tavolo della cucina. Dopo pochi secondi non si muove più nulla. Guardo l’orologio: sono le 10.25.
Vengo assalita dalle assordanti sirene di tutte le forze dell’ordine che spezzano il silenzio. Vedo la gente che si riversa sulle strade, diretta verso la stazione. La ferrovia, grazie alla sua particolare posizione geografica, concede di essere lo snodo di tante direzioni. Scendo le scale e vengo travolta da tantissima polvere e da un penetrante odore di bruciato. La gente grida, piange, si agita. Continuo a non capire finché non giungo sul luogo.
Innanzi a me si presenta un’immensa voragine di detriti, sangue e disperazione.
La popolazione sembra un vespaio impazzito. Poi, immediatamente, realizzo che Giorgio è uscito da casa proprio per andare in stazione. Mi guardo attorno e comprendo l’entità del disastro.
Una strage. E’ il 2 Agosto del 1980 e Bologna è stata devastata. Il battito del cuore accelera vertiginosamente. Sono al centro di un’apocalisse . Comincio a temere. Nel disperato tentativo di trovare Giorgio, mi precipito nella mischia e offro il mio aiuto. Ciò a cui assisto non ha termini per essere definito. L’umanità che perde la propria identità smistata tra la cenere dei cadaveri e dell’edificio. Ho visto uomini recuperare corpi sotto le macerie, medici ed infermieri, rientrati dalle loro ferie, per contribuire ai soccorsi. L’orologio della stazione fermo alle 10. 25, la stazione divenire un immenso cimitero. Chiamo Giorgio, disperatamente, nome e cognome. Il fumo e la polvere bruciano nella mia gola ma continuo, imperterrita, a gridare. Il suo treno era sul primo binario. Le forze dell’ordine non mi permettono di addentrarmi oltre. Qualcuno inizia a parlare di una bomba. Incredula, continuo la ricerca del mio amato, nel mezzo del nulla che è rimasto del piazzale Ovest della stazione. Sono arrivata lì alle dieci e quaranta del mattino, ma dopo moltissime ore, non riesco ancora a muovermi di qui.
Ho aiutato alcune persone a ricongiungersi ai propri cari, altre a salire sui mezzi di soccorso messi a disposizione ma di Giorgio nessuna traccia. Dentro di me sorge la speranza che non si sia diretto subito in stazione. Nella mia testa si rincorrono tantissime ipotesi fino a che non scorgo giungere l’autobus numero 37.
Vedo gente che piange mentre osserva le persone che vengono caricate dentro di esso. «Perché sono così afflitte?» domando. «Perché quello non è più un bus ma un carro funebre. Dentro vengono caricati solo i cadaveri». Senza attendere ulteriori spiegazioni mi precipito all’interno. Mi faccio largo tra la gente e infine vedo.
Non Giorgio, ma la morte. La disumana capacità dell’odio che l’essere umano può perpetuare verso la sua specie. Lacrime pesanti solcano il mio viso. Non sò neppure da quanto tempo sono qui, la mia percezione del tempo è ferma a questa mattina, mentre fumavo. Assorta nei miei pensieri vengo ridestata da un poliziotto. «Mi scusi Lei conosce Giorgio Rasi?» Lo osservo con incredulità e gratitudine : «Sì è il mio compagno». «Queste sono le sue cose- mi dice- è indicato l’indirizzo di casa e come referente è segnalata Rosa Palestro. E’ Lei?» «Sono io, sono io» – rispondo esagitata- «dov’è Giorgio?» «Sull’autobus 37». Priva di ogni energia vitale mi accascio a terra.
Sento una scossa elettrica pervadermi il corpo: no, non è il defibrillatore ma la sensazione che avevo avuto stamattina. Quella che non lo avrei rivisto mai più perché la distanza ci avrebbe separati. Invece sono bastati pochi centinaia di metri.
Valutazioni Giuria
2 – CENERE – Valutazione: 19 Gaia: L’idea funziona, la trama coinvolge. La scrittura, ahimè, ha diverse imprecisioni e alcune frasi sono proprio scorrette , ad esempio: ” La disumana capacità dell’odio che l’essere umano può perpetuare verso la sua specie”, dove credo che “perpetuare” stesse per “perpetrare”, verbo comunque non perfettamente adeguato…; oppure: “La ferrovia, grazie alla sua particolare posizione geografica, concede di essere lo snodo di tante direzioni”… Una rilettura più paziente avrebbe probabilmente consentito una efficace rifinitura. Matteo: La separazione definitiva tra i due innamorati, causata dall’attentato, è raccontata in maniera molto incisiva. Purtroppo però la narrazione è minata da alcune imprecisioni a livello di consecutio temporum, soprattutto nel primo paragrafo e poi nella parte centrale, dove il passato prossimo sostituisce a volte il presente. Paola: L’idea di ambientare la vicenda a Bologna nel giorno della strage del 1980 rende tutt’altro che scontata una separazione tra i due amanti, che avrebbe potuto prendere una piega più banale. Incisiva anche la scelta di riprendere il concetto di definitività dell’abbandono, spostandolo sul piano ineluttabile della morte. Dal punto di vista dello stile ci sono alcune imprecisioni che, tuttavia, non penalizzano la lettura. Pietro: L’idea di raccontare una separazione con un attentato terroristico è forte e, a mio avviso, funziona. La narrazione un po’ meno. Il motivi principali sono alcune, improvvise «uscite» dall’immedesimazione nel personaggio e nel momento presente («L’umanità che perde la propria identità…», ad esempio, è un pensiero concettuale poco plausibile), e alcuni errori nell’uso dei tempi verbali. |