19 – La dote di Lyosha

28 Dic di editor

19 – La dote di Lyosha

Iniziavano i primi freddi e ad annunciar la galaverna era il crepitio della stufa, che scoccò l’ora di fare le scorte di torba e di biada.

In quell’autunno del 1938, ospitammo nell’isba un pigionante, Lyosha, il nuovo medico del paese arrivato dentro un cappotto goffamente abbondante, ma dal cui bavero sbucava uno sguardo sereno e profondissimo. Mamma non aveva amato subito quel proposito, poi papà le spiegò di come i medici portassero in dote dal ministero un camion di torba e la decisione fu unanime.

Nell’unico stanzone, il dottore prese posto vicino alla finestra, dopo aver arredato il suo cantuccio di un tavolo su cui leggeva e prendeva certi appunti. Sulla parete opposta, sotto una madonna nera di Kazan’, era gettata la branda di nonna, mentre mamma e papà dormivano sopra la stufa ed io conservavo soddisfatto il mio angolo, lontano dagli spifferi, seppure un po’ buio e per questo prediletto dagli scarafaggi. Non trascorse molto tempo, che Lyosha s’era fatto una presenza discreta: poco più ingombrate della vetrinetta del samovar ed un po’ meno loquace della pendola che suonava Korsakov due volte al dì.

Accadde durante una cena di novembre, che un ufficiale dopo aver fatto irruzione, si piantò in mezzo alla stanza ansimando:

“Dottore dovete seguirmi immediatamente a Kirov!”

Vidi Lyosha alzare lo sguardo, senza smettere di sorbire il suo orzo:

“Cos’è accaduto?”

“Un ragazzo… sotto un carro!”

“Allora devo far tappa al laboratorio” e si passò il dorso della mano sui baffi

“Va bene, ma fate presto per l’amor di Dio! Una sentinella vi aspetterà all’inizio del paese”

L’ufficiale si dileguò.

Lo accompagnai col calesse attraverso una notte diafana, rotta in cielo dal firmamento e quaggiù dai sassi che tintinnavano sotto gli zoccoli della cavalla.

La nostra guida ci scortò con mia sorpresa presso l’abitazione di Smirnov, il presidente del Kokhoz. Lyosha sembrò non darsene alcun peso, come fossimo alla soglia d’un contadino qualunque e mi fece cenno di seguirlo con la borsa dei ferri.

Nell’isba illuminata a giorno, il silenzio era trafitto da mormorii e singhiozzi. Ci portarono in una stanza dove riconobbi il presidente, il cui sguardo era vitreo e perso in direzione d’un lettuccio. Una macchia amaranto s’allargava sotto le gambe d’un ragazzo straziato in volto e mentre l’odore acre del sangue e della carne viva mi penetrava le narici, l’ufficiale che aveva fatto irruzione durante la cena, confessò con voce angosciata:

“Il ragazzo è stato impallinato ad una gamba” e crollando la testa per nascondere lacrime penitenti sussurrò “Salvatelo! Dovete salvarlo…”

Lyosha prese un tono ed uno sguardo tanto carezzevoli che mi commosse:

“Come vi chiamate?”

“Andrej”

“Andrej passatemi quella bottiglia di vodka, volete?”, ma dovette ripetersi e lo fece con immutata dolcezza: “Andrej, è stato un incidente e salverò vostro fratello”

“E la sua gamba?”

“E la sua gamba. Ma ora fate come vi dico, poi uscite portando con voi vostro padre”

Rimanemmo soli e mentre nella testa mi turbinavano pensieri e domande, subito versò la vodka sulla carne sanguinante: vidi allora il ragazzo irrigidirsi spalancando orribilmente gli occhi e la bocca, e senza emettere alcun fiato, perdere i sensi.

In quella notte ebbi modo di apprezzare Lyosha ben oltre il suo camion di torba, colpito dalla capacità di infondere calma con la propria fermezza e profondere compassione nell’angoscia e nella tragedia. E mentre con agile maestria puliva, incideva, tagliava, estraeva e poi disinfettava, ricuciva e fasciava, rispose di par suo alle domande che non gli avevo ancora fatte:

“È nella paura più profonda che riconosci sommamente la natura delle persone ed in quell’attimo di ineguagliabile umanità, ti è donata la rara grazia di offrire senza riserva tutto ciò di cui sei capace, compreso il tuo amore”.

Pensai che ci dovesse essere nato medico, poiché al di là dell’indottrinamento, non conoscevo davvero chi avesse migliore predisposizione d’animo a tutto questo.

Sul ritorno, attraverso i fumidi campi, il buran veniva a spifferare nei baveri il suono d’un treno lontano e la luna giocava a far brillare atomi di ghiaccio nell’aria ormai gelida. Quell’inverno del ‘38 trascorse caldo ed opulento, grazie soprattutto alla riconoscenza degli Smirnov, condivisa nell’isba dal dottor Lyosha.


Valutazioni Giuria

19 – La dote di Lyosha – Valutazione: 23

Gaia:
Una vicenda interessante, ma con sviluppi non sempre fluidi: il rapporto, discreto al punto da risultare di totale indifferenza, della famiglia di Lyosha con il medico pare alquanto in contrasto con la successiva rivelazione della profonda sensibilità del medico stesso. Quest’ultimo si mostra capace di un’empatia totalmente e inspiegabilmente inespressa fra le mura della dimora presa a pigione. Non viene poi adeguatamente chiarita la dinamica dell’incidente occorso al figlio del presidente, con una mancanza di chiarezza un po’ fastidiosa che non giova all’insieme. Buono l’impiego della lingua, sempre corretta e con scelte lessicali interessanti.

Matteo:
Dal punto di vista formale, la qualità del racconto non è uniforme: non parte bene, ma progressivamente migliora. Ho alcuni dubbi riguardo la gestione delle informazioni. Il medico e il ragazzo non sembrano riconoscere nell’ufficiale che bussa alla porta uno dei figli del presidente (cosa poco plausibile all’interno di un piccolo villaggio e trattandosi di una figura di spicco), eppure, una volta arrivato in casa del presidente, il medico sembra sapere che l’ufficiale e il ragazzo sono fratelli. Avrebbe quindi dovuto riconoscere il soldato fin dall’inizio. Non mi convince poi il fatto che non venga in nessun modo spiegata la dinamica dell’incidente (fondamentale nell’economia del racconto). Capiamo che il responsabile è l’ufficiale, ma non sappiamo altro. Il medico arriva da solo alla conclusione che sia stato un incidente, ma, escludendo il rammarico del fratello (che in ogni caso non ammette esplicitamente la colpa, dicendo “Il ragazzo è stato impallinato ad una gamba”), egli non ha alcun indizio in merito.

Paola:
I tratti di Lyosha sono proprio quelli che ci aspetta da chi ha prestato il giuramento di Ippocrate: un riserbo che sfiora la freddezza, una capacità di compassione che cura non solo il malato ma anche chi gli sta vicino, una prontezza operosa e capace. Interessante la scelta di mostrare al giovane protagonista questi aspetti “sul campo”. Sarebbe stato bello dare più spazio alla descrizione del cambiamento avvenuto nella famiglia dopo la rivelazione delle potenzialità del loro ospite. Ben scritto sul piano stilistico.

Pietro:
Racconto ben scritto, che per ambientazione e aspetti della trama mi ha ricordato L’asciugamano col galletto di Bulgakov. Una certa piattezza emotiva, tuttavia, non lo valorizza al massimo.
La figura del «sereno» Lyosha è l’unica a dover essere sempre uguale a se stessa; il narratore e la sua famiglia, invece, dovrebbero avere verso di lui passioni forti e ben riconoscibili, poiché è proprio il cambiamento di segno di queste ultime a costituire la sostanza del racconto. Lyosha, tollerato in casa solo in quanto portatore di misera torba necessaria per il freddo; Lyosha, la cui imperturbabilità sembra scarsa sensibilità o provocazione, alla fine si rivela, proprio per la sua imperturbabilità (il super potere grazie quale salva uno Smirnov), la chiave per un inverno al caldo, meritandosi la riconoscenza di tutti.