17 – La notte di S. Lorenzo
“Ma dove scappi così di corsa Giorgio? Aspettami, vengo con te, Giorgio! Giorgio…”
Ancora una volta passava rapido per dileguarsi in fretta, ma quella mattina mi prese il puntiglio di andargli appresso.
Scivolava tra le persone e rasentava incautamente le ruote dei carri. Quando sbucò sull’emporio e incrociai gli occhi di Clara, le feci un rapido cenno portando l’indice alla bocca. Resse il gioco, ma allo stesso tempo diede uno strattone ad Elisa ed i loro sguardi divertiti mi fecero sentire ridicolo.
Clara era un folletto dal cuore tenero, invece Elisa, beh Elisa… erano tutti innamorati di lei, del suo modo garbato di fluttuare le gonne e l’apparente inconsapevolezza di essere seducente.
Intanto Giorgio ed io seguitavamo a correre per le strade polverose, fino al limitare delle case ed oltre. Quando lo vidi tuffarsi nel ripido d’un faggeto, lo seguii finché sfociò sulla grillaia d’un cocuzzolo. Lì rimasi quatto e muto, fermo pure nell’intento di scoprire quel che andasse brigando.
Mi fregio d’essergli stato il miglior amico, ma ammetto che Giorgio apparisse strano, con quel parlare rado e ponderato, spesso lapidario. Come l’altro pomeriggio mentre giocavamo a carte col parroco; al sentir sacramentare giù in oratorio, don Davide stava per afferrare una scopa, quando Giorgio lo trattenne:
“Avranno tempo di incontrare chi si offenda oltre la carità del perdono” disse gettando un 2 di cuori.
Il don si sedette e proseguimmo come se ci avesse benedetto.
Questo era Giorgio, sempre immerso in un mondo del quale, ad essere fortunati, capitava di intravedere la meraviglia.
Ora che l’avevo seguito fin lassù, mi sembrava fossimo piccini come due zecche sulla chierica d’un frate. Poi uno sparo, vivo, a squassare improvvisamente la quiete. Giorgio scappò per dove eravamo venuti, mentre io rimasi schiacciato nell’incavo di un albero.
Benché gli echi della guerra giungessero affievoliti al paesello, uno sparo a quel periodo, gelava le budella. Era l’estate del ’44, l’ultima che avremmo passata insieme.
Tornò a coricarsi il silenzio ed in esso i rumori del bosco, allora uscii sorprendendo là dove non avrebbe avuto ragione d’essere, un giardino vezzosetto: aiuole, panchine, un’altalena ed una casetta per gli uccelli. Dalla casetta spuntava un foglio, la grafia era la sua:
“Quando le luci della sera, aggrediranno quel poco che rimane del giorno
e le stelle inizieranno a caderci tra i capelli,
tu saprai il desiderio che avrò espresso per primo”
Nei giorni successivi, Giorgio continuava ad essere elusivo ed io in modo impertinente, a tornare in quella dimensione da cui mi aveva escluso. Scoprivo il giardino ogni volta ingentilito e quasi sempre in bocca alla casetta un foglio arrotolato, ora suo, ora di “lei”.
Nel crescere innocente e profondo del trasporto, i messaggi rimanevano adespoti e vaghi, ma intuivo che un chiunque come me, non avrebbe dovuto capire.
Poi arrivò il giorno che Giorgio mi colse e tutto precipitò. Avevo un biglietto di lei tra le mani e leggevo a fior di labbra:
“Tesoro! Che pazza a pretendere quest’attesa, affinché tutto, tutto nasca sotto le stelle.
Chissà quale sceglierai per venire a baciarmi, se la vedremo cadere insieme.
Sarà il primo bacio, seppur mille te ne avrò già dati.”
“L’avresti detta tanto dolce?”
“Giorgio… io…”
“Non preoccuparti Checco, sono contento. Avevo voglia, anzi avevo bisogno di parlartene, come gli uccelli che non possono starsene senza cantare. È la prima volta che mi sento tanto felice Checco!”
Poi uno sparo, un altro, ma questa volta non ci fu il tempo di fuggire. Tre persone armate ci attraversarono come spettri. Giorgio si accasciò a terra.
Per tre giorni giacque delirante a letto, il medico aveva detto ai genitori che non c’era speranza, si tenessero pronti in qualsiasi momento.
Quando entrammo nella stanza, Giorgio forzò un sorriso e Clara corse via piangendo. Elisa trattenne le lacrime e sedendogli accanto, gli prese la mano. Non c’era bisogno me ne andassi, erano comunque soli e li guardai mentre parlavano con gli occhi, pacatamente, all’amore come alla morte.
Andai alla finestra, la luna brillava traslucida dietro nuvole di quarzo rosa e mentre le stelle cadevano, il primo bacio non fece alcun rumore.
Il giorno seguente Clara diede ad Elisa il fagotto dei messaggi di Giorgio:
“Qualcuno doveva pur farvelo confessare di essere innamorati.”
Valutazioni Giuria
17 – La notte di S. Lorenzo – Valutazione: 32 Gaia: Un racconto grazioso, che crea una atmosfera piacevolmente semplice, leggera, allegra, seppur velata da una certa malinconia. La vicenda stuzzica il lettore, la narrazione scorre felice, pur frenando un po’ per qualche asperità linguistica (non sempre un linguaggio ricercato aiuta la narrazione…). Una delicata storia di amore e amicizia, con un finale triste, ma ben descritto. La forma è corretta. Matteo: Il racconto è agrodolce, la narrazione fluida e appassionante. Alcuni passaggi risultano meno scorrevoli e sono presenti alcune imprecisioni stilistiche. La qualità complessiva del racconto però non ne risente. Non mi convince troppo la frase finale di Clara: mi sembra indelicata (anche se inconsapevolmente) in un momento del genere. Paola: La narrazione è delicata e accompagna gradualmente il lettore nell’universo di tenerezza costruito dai due giovani innamorati. Anche il lettore come Checco non si sente quindi invadente ma coinvolto nella vicenda. La conclusione, in sè drammatica, mantiene però i toni delicati e teneri dell’esordio. Ci sono alcune asperità stilistiche (nell’uso dei verbi e del lessico) che tuttavia non disturbano la lettura. Pietro: Il racconto è scritto molto bene, soprattutto per come scorre il tempo narrativo. Ho trovato solo qualche sbavatura. Innanzitutto il tempo verbale sbagliato nell’episodio del parroco («Come l’altro pomeriggio […] Giorgio lo trattenne», dovrebbe essere «Come qualche giorno prima […] Giorgio lo aveva trattenuto»); quindi la poca chiarezza (almeno per quanto mi riguarda) sulle condizioni di Giorgio – è delirante? come può, allora, parlare con Elisa? o forse non parlano davvero, ma solo con gli occhi? Infine ho apprezzato lo stile e la lingua, tranne quando mi hanno reso difficile la comprensione del testo («sulla grillaia d’un cocuzzolo», «Tre persone armate ci attraversarono come spettri», «mentre parlavano con gli occhi, pacatamente, all’amore come alla morte»). |