13 – Terra
Ci fu un lungo silenzio rotto solo da tre spari, quattro, gli sembrava non finissero mai. Furono come schiaffi. Era tutto vero, non era teoria. Le parole, gli slogan, l’addestramento e poi la riserva. Tutto ciò in cui credevano. Tutto quello che rendeva lecite rapine, estorsioni. Morte. Ora tutto era diventato vero, era diventato proiettili nella testa di un uomo, una vita interrotta. Chi fosse quell’uomo non gli era del tutto chiaro, ma era ovvio che se l’era meritato. Pare non pagasse l’imposta rivoluzionaria. L’auto scossa dall’arrivo dei compagni lo ridestò da quei pensieri.
«Gora ETA1!» gridarono Biktor e Patxi.
«Gora ETA!» rispose lui come per un riflesso condizionato.
Partì in gran fretta, ma senza far stridere le gomme. Dopo un’azione, discreti e silenziosi. “Gora ETA!” gli rimbalzava nella testa. Come quella sera, quell’ultima sera. Sua madre era ai fornelli e non si voltava. Probabilmente stava piangendo. Quando era di spalle riusciva sempre a non far capire se piangeva, la sua ama2. Suo padre lo guardava, con occhi di fuoco.
«Come sarebbe a dire “lo fai per la nostra terra”? Hai mai provato a dare due colpi di zappa alla nostra terra? A riempirti le mani di calli e romperti la schiena per lavorarla, la nostra terra?»
«Sai cosa voglio dire, Aita3, è per la libertà di Euskal Herria!»
«Ah, la libertà di Euskal Herria…e me lo sai spiegare la libertà da cosa? Da chi? Franco è morto da quindici anni, nessuno ci impedisce di parlare euskera, se è questo il problema…siete bravi a riempirvi la bocca come loro a riempirvi la testa di stronzate!»
Dentro casa suo padre dava libero sfogo alla frustrazione di vivere in un paese di cui non sopportava il veleno e l’ignoranza.
«Lo sai anche tu che non possiamo permettere che lo stato centralista…»
«Piantala!» aveva tuonato il padre «Non sei a uno dei vostri comizi! È con tuo padre che parli. Non venirmi ad insegnare cosa sia la patria e cosa sia la libertà. Io non ho cresciuto un assassino. E chi vuol essere un assassino non è mio figlio».
Allora Aitor, con rabbia, gli aveva risposto solo «Gora ETA», ed era andato in camera sua. La mattina dopo, al risveglio dei genitori, se n’era già andato. Non era neanche passato a casa di Amaia per un saluto. Non ce l’aveva fatta, sapeva che avrebbe dovuto guardarla negli occhi.
«Ehi, Aitor, cos’è quella faccia?» la voce di Patxi lo aveva riportato un’altra volta al presente. «Non fare così, la prossima volta parteciperai anche tu e in macchina ci starò io.»
Si limitò ad annuire. Stavano per arrivare all’appartamento. Fece scendere i compagni a circa trecento metri dalla casa. Non fermavano mai nello stesso posto. Poi andò a parcheggiare molto più lontano, ci volle una decina di minuti. Quando arrivò al palazzo, guardò la finestra e si bloccò di colpo. La tapparella non era all’altezza concordata. Qualcosa non andava. Si mise nascosto ad aspettare.
Ci vollero due ore, poi dal portone uscì Patxi, con le mani legate dietro la schiena, spinto con violenza da due uomini. Aveva dei lividi in faccia e sembrava sul punto di piangere. Salirono su di un’auto parcheggiata a pochi metri dall’ingresso, che partì immediatamente. Aitor non rimase ad aspettare di scoprire cosa fosse di Biktor. Si incamminò senza sapere bene in che direzione. Se i compagni muoiono o vengono beccati, raggiungere il talde4 più vicino. Si inoltrò nella periferia, a passi rapidi. Vietato ogni contatto con la propria famiglia. Di sicuro i suoi avevano il telefono sotto controllo. Però Amaia no. Entrò nella cabina e fece il numero.
«Pronto» fu bello sentire la voce di Amaia.
«Ciao, mi riconosci?» le chiese.
«Aitor?»
«Scusami. Perdonatemi. Vai da mio padre: digli che gli chiedo perdono. Che mi aspetti. Tornerò. Non so quando e non so come, ma tornerò ad essere suo figlio. E abbraccia la mia ama.»
«Aitor, io…»
«Ti prego. Tornerò anche per te, se potrai perdonarmi.»
Riagganciò e salì sul primo autobus che portava fuori città, verso i monti. Scese all’ultima fermata e si incamminò col solo intento di lasciarsi alle spalle le luci e i rumori. Camminò fino a che riuscì ad ascoltare il silenzio della sua terra. Scavalcò il fosso al lato della strada e si inginocchiò, nel campo, per poter affondare le dita nella terra. E rimase lì, per un po’, a respirare.
1 Viva ETA
2 Mamma
3 Papà
4 Commando
Valutazioni Giuria
13 – Terra – Valutazione: 24 Giud.1: Le frasi brevi e l’esigenza di ricorrere a nota a pie di pagina rende il racconto di non facile lettura. Giud.2: storia interessante, argomento inusuale. bello l’ultizzo di parole in spagnolo e il senso di libertà che lascia al lettore.finale inatteso Giud.3: Si fatica un po’ a entrare nel contesto. Non mi è chiarissimo il signifcato. Credo esprima la delusione di un ideale perduto, lo sgomento nel rendersi conto di aver combattuto la battaglia sbagliata. Intensa l’immagine finale delle mani nella terra Giud.4: Apprezzo l’originalità ed un certo studio del contesto. Un buon lavoro |