13 – Nella foresta

28 Dic di editor

13 – Nella foresta

Iniziavano i primi freddi. La nebbia calava sul villaggio e le nubi nascondevano le cime della montagna. La valle intera sembrava isolata dal resto del mondo, perfino i rumori arrivavano attutiti. I cacciatori tornavano all’imbrunire, con i cani stremati, dopo inutili o deludenti inseguimenti. Faceva tristezza, al calar della sera veder apparire le loro sagome sul crinale: il loro passo stanco raccontava ben più delle loro bisacce vuote. Nelle case gli uomini sistemavano gli attrezzi e le cataste di legna. Tra non molto il gelo avrebbe trasformato il ruscello in una lastra di vetro, la cascata in una scultura di ghiaccio.

La piccola comunità degli eretici viveva nascosta in quella valle, allevando capre, e strappando alla montagna quel poco che offriva. Ma ogni anno, all’inizio dell’autunno, l’arrivo dei primi freddi e l’accorciarsi delle giornate, ridestava in tutti antiche paure. Il ricordo delle stragi, in particolare della più cruenta, quella della Domenica delle palme, era ancora vivo nei racconti dei vecchi, come anche le immagini atroci dei roghi, dei lattanti strappati alle madri, delle fanciulle oltraggiate dalla soldataglia agli ordini del Signor De Petitbourg.

In uno di quei tristi giorni d’autunno, la giovane Marie, era uscita da casa all’alba per incontrare in segreto Rodolfo. All’insaputa dei genitori, entrambi avevano percorso un sentiero per ritrovarsi nel luogo stabilito: un angolo della foresta tra i più fitti e solitari. Da quando aveva l’età, Marie aveva messo gli occhi sul giovane, e lui aveva fatto di tutto per darle appuntamento nella foresta. Quel giorno Rodolfo aveva finto di andare per lepri, portandosi la lancia acuminata che usava per la caccia. Marie dopo aver camminato una buona mezz’ora pensò di essersi persa, nessun tronco o roccia le era familiare e la nebbia, invece di diminuire, si era fatta più spessa. Rodolfo non si vedeva ancora. Si guardò intorno. Lontano, tra gli alberi, un uccello invisibile lanciò nell’aria silenziosa un lugubre singhiozzo.

Marie si voltò istintivamente, come per difendersi da qualcosa di imprecisato e al suo sguardo comparve una sagoma indefinita, a non più di una decina di metri. Pensò ad una delle capre selvatiche che popolavano la montagna. Ma se per l’aspetto poteva assomigliare a quello di un grosso montone, il corpo ricoperto di lanugine bianca e soprattutto il muso, sormontato da un unico lungo corno toglievano ogni dubbio. L’unicorno, l’animale prodigioso, il più difficile da sorprendere, e il più difficile da catturare. Subito le vennero in mente le tante leggende legate al mitico animale. L’unicorno, il più pericoloso tra le fiere, il più combattivo, il più imprevedibile. Si diceva che avesse il potere di purificare le acque in cui si abbevera, e anche che davanti ad una giovane vergine, deposta ogni ferocia, l’unicorno diventasse così docile da arrivare ad addormentarsi in grembo alla fanciulla, e che questo fosse l’unico modo per catturarlo.

Terrorizzata, Marie recitò a bassa voce una parte di un salmo che ricordava a memoria: Ma tu, o Signore, non allontanare da me il tuo aiuto, rivolgiti alla mia difesa. Immobile la bestia la fissava. Salva me, Signore, dalle fauci del leone. L’unicorno si mosse verso di lei. E la mia umile persona. Ora era vicinissimo. Dai corni e dagli unicorni. Marie cadde in ginocchio.

Straordinariamente il tempo le sembrò sospeso e le tornò alla mente un sogno, fatto da bambina, che non aveva mai scordato. Era in una cattedrale e contemplava una pala dipinta. La Vergine era seduta in trono, alla sua destra era rappresentato un angelo che soffia nel corno come un cacciatore. Nel grembo di Maria uno snello unicorno appoggiava docile il muso, mentre ai suoi piedi alcuni cani da caccia sembravano appostati in attesa. Dei cartigli tutto intorno spiegavano la scena, e siccome non sapeva leggere, una voce lo faceva per lei.

Aprì gli occhi che aveva chiuso rivivendo il sogno: l’unicorno aveva il muso sul suo grembo. Senza più paura allungò la mano per accarezzarlo, proprio mentre Rodolfo, comparso improvvisamente davanti a lei, con tutta le sue forze spingeva furiosamente la lancia nel corpo dell’animale. Allo sprizzare del sangue tutta la foresta parve scossa da un fremito.


Valutazioni Giuria

13 – Nella foresta – Valutazione: 33

Gaia:
La vicenda si distingue per l’originalità: un racconto interessante, arricchito dal sapore mitologico. L’autore ci immerge profondamente nell’atmosfera quasi sospesa che ben descrive. Risulta tangibile un che di primordiale, leggendario. La narrazione è fluida e scorre con un ritmo piacevolmente lento, ben adeguato al “clima” del racconto. Avrei dato meno peso alle vicende della setta, che risultano un po’ ingombranti rispetto al contesto. Peccato per un paio di sviste formali: “Ma se per l’aspetto poteva assomigliare a quello di un grosso montone”: immagino sia rimasto un “per” di troppo…. Una distrazione, più che un errore. Idem per “L’unicorno, il più pericoloso tra le fiere”, con una concordanza discutibile… Nel complesso un buon lavoro.

Matteo:
Racconto davvero ben scritto (salvo un paio di sviste a livello di punteggiatura). L’ambientazione invernale riesce a divenire protagonista della narrazione, grazie a una riproposizione efficace di alcune immagini. La vicenda è raccontata con estrema raffinatezza e l’utilizzo della figura dell’unicorno è davvero di grande effetto. Tutti gli elementi della storia sono perfettamente bilanciati.

Paola:
La scelta della tematica è indubbiamente singolare ma, nel complesso, ben riuscita. L’atmosfera della foresta innevata, la vergine che vi si addentra alla ricerca dell’amato, il ruolo simbolico della creatura fantastica rendono l’insieme una favola nordica. Peccato manchi qualsiasi riferimento, nello sviluppo del racconto, all’eresia della setta a cui Marie appartiene. Vista l’informazione posta in apertura, sarebbe stato bello trovare una ripresa nello svolgersi della narrazione

Pietro:
Originale l’utilizzo della tradizione e del simbolo, ottima la sua traduzione nella trama, aggraziata la rivelazione della fonte.
L’atmosfera del racconto è turbata solo da una svista (ancora più evidente, ahimè, perché non commessa in tutte le situazioni analoghe): l’ordine errato del secondo e del terzo paragrafo – o, meglio, delle informazioni in essi contenute. La visione simbolica della natura è la forza del racconto, il suo schema vincente, ripetuto ma non ripetitivo. Perché allora non far sì che sia Marie a vedere nella nebbia fitta le «antiche paure» collettive della sua setta?