11 – IL PICCIONE
Ci fu un lungo silenzio interrotto solo da un improvviso frullare d’ali, a cui seguì il tubare appassionato di un piccione intento a nidificare tra le tegole: “U – uuu – u! U – uuu – u!”.
Io rimanevo accovacciato in un angolo del granaio, dietro la basculante e nel buio di due pertiche di juta tirate addosso. La trama larga del tessuto insieme mi nascondeva ed indulgeva ai miei occhi una discreta visuale, mentre l’odore della canapa quietava lentamente il mio affanno.
Il ritmo del respiro tornò regolare e nella sopraggiunta calma valutai la situazione: “Alessandro e Flavio avranno fatto in tempo a nascondersi” – dedussi dall’immobile silenzio – “Spero la loro sia una buona postazione e che non decidano di fare mosse spregiudicate”.
Là fuori qualcuno sperava proprio azzardassimo una sortita ed era quanto dovevamo evitare. Non potevamo rimanere così nascosti per sempre, questo è vero, ma si trattava di trovare il momento più opportuno, con coraggio, arguzia e pazienza.
Sgusciai prudente dal mio anfratto ed abbandonando i cenci di cui mi ero coperto, mi diressi a passo d’oca verso la finestra. Le verdi imposte crepate da cent’anni di intemperie, erano semiaperte e lasciavano entrare la luce in un cono polveroso di mondiglia. Sulle pareti pendevano arnesi di campagna, puntellati su vecchi chiodi arrugginiti. Allineati contro una cassapanca, una serie di stivali e scarponi se ne stava assopita d’un sonno antico, sotto una coltre di ragnatele e là, in un angolo, un vecchio cappotto consunto, che sapevo bene nascondere la doppietta da caccia di mio nonno. Nel mezzo dello stanzone, ammucchiati in un monte alto due volte me, milioni di chicchi dorati di granturco, avvolti da una nuvola granulosa di pula.
Il piccione continuava ostinato, come non esistesse null’altro al mondo che l’oggetto del suo affaccendarsi e mi attraversò il dubbio di sapere intorno a cosa ragionassero gli uccelli in tempo di guerra, quando i cannoni non rombano, le armi tacciono, ma la disperazione non per questo è sopita. Fu un pensiero rapido e silenzioso, come un sasso che affonda nell’acqua, perché tutti i miei sensi erano tesi in direzione del pericolo imminente.
L’intuizione trovò riscontro nel vedere tra le persiane una figura slanciarsi allo scoperto! Mi ritrassi buttandomi schiena al muro e con gli occhi sbarrati nel vuoto, aspettai qualsiasi suono che venisse a rivelarmi la sorte del mio compagno. Eccolo: un urlo trionfante e grottesco, quindi un secondo, sommesso e sconfitto… Flavio. “Flavio, no… maledizione!”
Di nuovo, fuori, tutto tacque e nel silenzio del granaio il piccione non smetteva di tubare: “U – uuu – u! U – uuu – u!”. Trovavo ignorante e meravigliosa quella sua indifferenza per ciò che accadeva al di là di quel microcosmo, costituito dall’anfratto occupato abusivamente.
Lontano, per un attimo, il rumore di un cingolato parve avvicinarsi, ma presto il suono di ferraglia si allontanò per dove era arrivato. Come le pupille si dilatano al buio e pian piano la vista acquisisce acume nella sua nuova dimensione, così il mio udito catturava ora rumori appena percettibili: i tarli nel legno, topolini nelle intercapedini ed oltre i muri spessi, gli animali da cortile ed il fiume, il Cenisio, che saltava lontano, dalla balza.
“Alessandro! No… Alessandro, anche tu!”
Il riverbero dell’aria mi fece nuovamente da messaggero, portandomi nel granaio altre grida ed una nuova scena cieca, come fossi spettatore di un teatro col sipario calato e quella cecità se possibile, esagitava ancor più lo sgomento.
“D’accordo!” – pensai gonfiando il petto di orgoglio – “È il mio turno! Accada quel che accada!”.
Mi avvicinai alla porta, sollevai il chiavistello e spinsi insieme con cautela e decisione. Mentre venivo inondato dai profumi caldi dell’estate, “U – uuu – u! U – uuu – u!”, il piccione parve salutarmi: lo presi come un segno ed inalato un ultimo profondo respiro, mi gettai fuori…
Corsi senza giudizio né criterio e mulinando le gambe più veloce che potessi, volavo sul selciato, di fronte al pozzo e verso l’aia. Là vidi Flavio ed Alessandro che presero ad urlare! Non mi voltai neppure un istante, ma dietro me sentivo rinvenire i passi di Paolo ed il suo vocione – “Ti piglio!” – ma il mio vantaggio era incolmabile ed arrivai primo al capanno: “Liberi tutti!”
Valutazioni Giuria
11 – IL PICCIONE – Valutazione: 27 Giud.1: Il racconto è piacevole, la descrizione della scena è molto dettagliata, la rappresentazione del piccione risulta artificiosa. Giud.2: racconto coivolgente e leggibile. bella l’dea del gioco a nascondino. le descrizioni aiutano nella lettura. Giud.3: Originale il ruolo dei piccioni, osservatori indifferenti. Le descrizioni dei luoghi risultano a tratti ampollose e il finale si intuisce fin da subito Giud.4: |