10 – BIVIO
Iniziavano i primi freddi.
La luce di seta della mattina scoprì, filtrando dai vetri, la stanza immersa ancora in una piccola penombra.
Nel letto due forme riempivano le lenzuola.
Una di queste, forse disturbata dal tocco insistente seppur delicato del sole, si mosse un po’ di più, quasi emergendo piano dai precipizi dei sogni nei quali aveva nuotato fino a poco prima.
Sul comodino la copertina un po’ lucida di un libro brillò, colpita da un riflesso vagabondo. Accanto alla lampada, il telefono si accese, a testimoniare la completa carica avvenuta.
Una testa sbucò dalle lenzuola, si tirò su, lentamente, in silenzio, cercando di non fare scivolare via il tepore della notte, rifugio gradito dalla temperatura inospitale che bussava ossessiva alla finestra.
Si girò verso l’altra forma, al suo fianco. Dormiva ancora e, sotto i suoi occhi, emanò un mugolio impercettibile.
La stette a guardare ancora per qualche secondo, un sabba di pensieri in testa.
Poi si girò verso il comodino, verso l’invito illuminato dello schermo del suo telefono.
Appoggiò la schiena alla testata del letto.
C’era un nuovo messaggio.
Buongiorno, Amore. Ho sognato che eravamo insieme, stanotte. Mi manchi.
Sulle labbra un sorriso provò ad aprirsi, ma si trattenne subito, quasi dovesse star nascosto.
Il dito si mosse, scorse lo schermo, fece apparire la tastiera dei caratteri e poi – dopo un attimo, lunghissimo, di esitazione – iniziò a digitare.
Buongiorno. Manchi anche tu. E questo freddo non aiuta.
Alla sua sinistra la forma che dormiva si mosse ancora, stavolta un po’ più forte, uno scatto infastidito, come se c’entrassero in qualche modo le parole appena scritte e che baluginavano dallo schermo. Non erano state nemmeno inviate.
Finiscila, pensò. Non farti prendere da pensieri strani. Mantieni la calma, pensa a te. A quello che è giusto per te.
Inviò il messaggio. Poi si girò ancora verso l’altro lato del letto. Niente si muoveva.
Nonostante tutto, però, sentì, fulminea, una fitta di rimorso.
Perché doveva andare così? Era davvero giusto quello che stava facendo?
Strinse di più il telefono fra le mani.
La sua mente tornò senza volerlo a una frase sentita in un film guardato di recente, come una risposta per quelle domande silenziose:
Quando ami qualcuno devi fare attenzione, perché potrebbe non capitarti più.
Quanto tempo sprecato, quante inutilità e meschinità arse da quelle poche, roventi parole… quasi insostenibili il peso e il rimpianto che celavano, come anche, però, la feritoia che si intravedeva fra le maglie del suo significato… perché forse anche il Tempo, di solito perfettamente spietato, avrebbe concesso una tregua ai meritevoli.
Amava? Sì, amava. Perché amasse non lo sapeva dire, non c’era spiegazione, come di tutto ciò che è veramente grande, del resto.
Allora perché si trovava lì, con il silenzio di fianco e le sue parole più intime rivolte all’aria e non verso chi dormiva in quella stanza?
Non lo sapeva. Forse il motivo era una forma di debolezza, forse era il non sapersi accontentare, forse il non poter sopportare l’imperfezione, nelle cose, nelle situazioni, nelle persone.
Forse era l’inseguire qualcosa che non c’è, non accorgendosi di averlo già in mano, come respirare dentro una stanza pregna di un buon profumo senza avvertirlo più, a un certo punto, ma continuando piacevolmente a riempirsene i polmoni.
Era strana, quella mattina. Il clima era cambiato durante la notte e, se guardava oltre i vetri, poteva quasi sentire sensorialmente quanto tutto fosse già diretto verso l’inverno, quanto la luce fosse già velata e le foglie sugli alberi a un passo dal macchiarsi di morte.
Tutto muore, pensò. È una fortuna preziosa se riesce a rinascere, se non si perde definitivamente, se fa parte solo di un giro di ruota.
Già. Un giro di ruota.
Scrisse un nuovo messaggio.
Anzi, forse aiuta. Aiuta a riscoprire il calore. Perdonami, ma il mio è già qui.
Addio.
Mentre posava il telefono, alla sua sinistra il fagotto di coperte si ribaltò, aprì gli occhi e le parlò con un tono caldo, profondo, quello che l’aveva fatta innamorare di lui.
– Buongiorno, amore… quanto sei bella, la mattina…
Lei, dall’alto, non poté impedirsi di sorridere apertamente e lo guardò con uno sguardo che sembrava quasi essere stato lavato.
Un’allegria nuova nella voce.
– Tesoro… Andiamo a fare colazione?
Valutazioni Giuria
10 – BIVIO – Valutazione: 21 Gaia: L’esordio è promettente, ma precipita presto. Uno scambio di messaggi che si fonda sulla menzogna, un incipiente senso di colpa, repentinamente tacitato, ma poi ascoltato; la protagonista che liquida via sms l’amante per ritornare dal compagno ritrovato…: la dinamica è decisamente sbrigativa, descritta con superficialità e senza alcuna possibilità di essere compresa dall’impreparato lettore che nulla sa dei personaggi (a parte la loro modalità di risveglio, descritta fin nei minimi dettagli…). Un periodo lunghissimo, contorto e di difficile comprensione (e non privo di errori grammaticali): “Quanto tempo sprecato, quante inutilità e meschinità arse da quelle poche, roventi parole… quasi insostenibili il peso e il rimpianto che celavano, come anche, però, la feritoia che si intravedeva fra le maglie del suo significato… perché forse anche il Tempo, di solito perfettamente spietato, avrebbe concesso una tregua ai meritevoli.” Le riflessioni della protagonista sono confuse. Un racconto poco equilibrato. Una scrittura non sempre convincente. Matteo: Molto ben riuscita l’ambientazione iniziale e la descrizione dei protagonisti come masse informi (fino a quando, alla fine del racconto, non verranno illuminati da un’energia nuova nel loro rapporto). In questa prima parte l’unico oggetto ben definito è il cellulare, strumento del tradimento. Nella parte centrale, però, il racconto si fa troppo riflessivo e il lettore perde qualche punto di riferimento. Il finale, pur essendo concettualmente corretto, mi pare eccessivamente repentino e di conseguenza non del tutto credibile. Paola: Il racconto si apre in maniera davvero efficace e invita il lettore a proseguire. Purtroppo lo sviluppo si fa contorto perché si sofferma eccessivamente sulle riflessioni della protagonista che, incapace di scegliere, taglia fuori il lettore dalla sua decisione, come fa per altro con entrambi gli uomini coinvolti. Pietro: Tutto fila liscio finché non cominciano le riflessioni. Qui la mancanza di visione fa smarrire il lettore, che è di fatto escluso dalla vita privata della protagonista: può solo raccogliere pensieri «vuoti», cioè senza un riferimento a nomi, volti, vicende… Per il resto il racconto è scritto molto bene, soprattutto all’inizio, e solo di rado la scrittura diventa imprecisa (si emerge nuotando, ad esempio, dagli abissi, non dai «precipizi») o criptica («quasi insostenibili…»). |