1 – LA CACCIA
“Ricordo bene, quella giornata iniziò nei migliore dei modi…”
Guardo mio padre Mohammed, il cacciatore; indovino nell’oscurità illuminata dalle braci il suo volto, la ragnatela delle rughe, forse una lacrima zizagare tra di esse, inumidirgli le labbra…
“…Avevamo appena recitato il Fajir, davanti al rosa dell’alba, quando lui arrivò.
E il rosa divenne rosso e fiamma. Il vento sottile, ululato…Sei stato coraggioso, poco fa, Aziz. Bravo”
Mi aveva guardato diritto negli occhi, poi con le due dita che gli rimanevano della mano destra stretto il mio polso sinistro forte, troppo forte.
Coraggioso…
Mi guardo le mani intatte, le vesti appena strinite.
Coraggioso, io, ? Ma va. Non serve, il coraggio, quando si sa come.
Non dirti fesserie, Aziz, tremavi come una foglia, poche decine di minuti fa.
D’altronde era stato per me, a ogni buon conto, la prima volta. La prima volta che attraversavo i vapori bollenti, la prima volta che mi trovavo ad un passo dalla bestia, la prima volta che alzavo il braccio e colpivo uno dei due cuori dell’animale mentre il mio compagno di caccia trafiggeva l’altro, nello stesso, identico istante.
Quanto ci eravamo allenati, mio padre e io, per arrivare a quella perfetta, quasi magica sincronia…
Prima con i materassi sfondati della vecchia Fatima, poi con gli agnelli di Soukeima, poi..
“Come facevi a sapere che l’avremmo trovato qui, papu? “
Lui ravviva un poco le braci…
“In realtà non ne ero sicuro; c’erano almeno altri tre posti dove si sarebbe potuto nascondere…Ci è andata bene, per volere del Misericordioso”
Mentre rispondeva, aveva alzato gli occhi verso il minareto che lentamente riemergeva dai vapori e poi addentato un altro pezzo di carne.
“Sei stato il primo a scoprirlo”
“Il primo, già. Io, Mohammed Mouhili, il cacciatore di draghi. Eppure era così ovvio”
“Ovvio, papu ?”
“Ma sì…tu cosa fai dopo aver lavorato nei campi o camminato per ore dietro alle capre riportandole all’ovile…cosa fai quando il sole è accecante di caldo?”
“E cosa vuoi che faccia, papu? Mi tuffo nel torrente che corre dietro al villaggio e quando è in secca…ah, una bella, lunga, terribile doccia gelata non me la toglie nessuno!”
“ la gente ha paura, di queste bestie, Aziz. E ha ragione. Devastano, uccidono, bruciano tutto quello che trovano sulla loro strada, senza pietà, senza ragione. Poi se ne vanno, su per il cielo, come demoni sputati dalla jahannam, lasciando nell’aria quell’infernale odore di alcool Chi vuoi che li segua? A che pro, quando ci sono ustioni da fasciare, piaghe da pulire, incendi da domare?”
“Tu l’hai fatto, papu…”
“Già, l’ho fatto: sono fuggito, vomitando. Via da quegli occhi così assurdamente bianchi incastonati come perle nel grumo di carbone che era, ormai, il volto di Selma.
Via, ricordando (che assurda la mente umana!) quando bollente di febbre l’avevamo immersa nelle acque gelide del fiume, mentre i venti dai monti portavano già odore di neve…”
Aveva di nuovo guardato in faccia me, il suo unico figlio.
“Fu allora che capii. Quanto deve essere caldo, il corpo di un drago, dopo aver incendiato i suoi umori e averli vomitati per ore e ore? Come può raffreddarsi, velocemente, pena la morte?”
“Gettandosi in acqua…”
“Gettandosi in acqua. Gettandosi in acqua. Ma dove?”
“Niente fiumi, il mare è troppo lontano…una piscina, vero, papu?”
“Sì, una piscina, una grande piscina. Dove raffreddarsi, riposarsi, magari anche giocherellare, chi sa. Da cui, ore dopo, ripartire”
“Una piscina come la vasca davanti al palazzo di Abd al Mu’min, per esempio. Esattamente dove ci troviamo ora, non è così?”
I vapori si sono dissolti completamente, ora, e il minareto della Kutubiyya è perfettamente visibile alla luce piena della luna.
“Sei sicuro di non volerne un boccone? Sa di pollo”
Guardo il pezzo di carne, poi mio padre.
Abbasso la testa, accenno a un no.
“Be’, quasi”
FINE
Dedicata a Mohammed, Aziz, Fatima, Raja, Selma e Soukeina, a cui per una decina d’anni ho portato, ogni quindici giorni, il pacco del Banco Alimentare
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