1 – Sehnsucht
Era bello tornare a casa dopo l’inferno. Anzi, bello era un eufemismo, una parola di cui non ricordavo più il significato.
Ero certo che tornare a casa sarebbe stato magnifico. Ero sopravvissuto solo per questo.
Il giorno prima di lasciare il Vietnam ero preda di una frenesia inconsueta: avevo imparato a lasciare i sentimenti lontano. Il cuore era un eden che frequentavo solo nei momenti di disperazione, tanto ero preoccupato di deturpare quell’unico ricordo di bellezza che ancora resisteva dentro me.
Perchè il destino mi aveva scelto per questo ruolo infame? Mi domandavo se fosse un contrappasso per espiare un peccato commesso e dimenticato.
Non esisteva regola logica che permettesse di accettare l’essere strappati al proprio mondo, alla propria storia così, da un giorno all’altro. Se avessi studiato… invece desideravo avere una famiglia quanto prima, così avevo trovato un lavoro ben retribuito… che mi costò la leva.
Appena seppi che la mia nazione aveva deciso di restituirmi il mio destino… in quel momento venni travolto dalla paura di morire, mancava così poco. Ogni secondo era un lustro, ogni ora un secolo. Ogni respiro un’incognita.
Mentre i miei piedi salivano sull’aereo ero così stanco e confuso.
L’Asia scompariva sotto le nuvole quando si risvegliò il panico: sarei tornato e tutti avrebbero saputo che ero un mostro.
Mia madre, il mio migliore amico Val, mio nonno che amavo tanto… mi avrebbero guardato in viso e avrebbero trovato uno sconosciuto. Forse no, sarebbe bastata l’aria americana e un ottimo hamburger per risvegliare un passato che, tra il sangue e le grida, era fuggito lontano… anche dal ricordo. Com’era vivere liberi? Si poteva esistere senza aver mai sentito il rantolo di un moribondo appena ventenne?
Quell’aereo custodiva ancora la mia trasformazione. Pregai perchè crollasse nell’oceano. Pensai alle persone che amavo e giunsi alla conclusione che avrebbero avuto un migliore ricordo di me se non mi avessero mai più rivisto. Se mi avessero pianto per quello che ero.
Ma stavo tornando.
Come avevo potuto essere così ingenuo a pensare che mi avrebbero amato ancora? Loro, che erano puri. Avrebbero visto i miei demoni: uno ad uno. Uno per ogni compagno morto. Tutti mi tormentavano chiedendo perchè li avessi lasciati morire. Tutti mi maledicevano perchè non ero morto al posto loro. Io lo sapevo che ero un cagasotto, che la mia vita era stata risparmiata al prezzo del loro sangue.
Pensai che non ne era valsa la pena. Poi tentai di convincermi che avrei saputo far tesoro della vita, anche per loro.
Crollai addormentato tra sibili sinistri e ombre di deflagrazioni.
Troppo tardi per fuggire. Mi svegliai al termine del volo: nei brillanti occhi di Val mi attendeva quel futuro… che pareva un pezzo di puzzle inconciliabile con i miei bordi spigolosi.
Lo guardavo e lo amavo. Lo guardavo e lo invidiavo. Lo guardavo e lo odiavo. Tutto in un malsano moto circolare.
Ci guardammo a lungo, non una parola. Non un abbraccio. Non volevo contaminarlo, non volevo avvicinarmi, non volevo che sapesse che ero una persona rotta. Biascicai un “grazie” e mi caricò in auto verso casa.
Fu un viaggio silenzioso. Lo ammirai molto per questo. Effettivamente c’erano troppe cose da dire per poter parlare. Il silenzio il messaggio più eloquente.
La città scorreva dietro ai vetri e non potevo che detestare quell’ostentata leggerezza che aleggiava. Ci avevano venduti come carne da macello per assicurarsi il loro benessere. Noi portavamo un giogo che mai ci avrebbe lasciato, e loro neanche sentivano la nostra assenza.
Ricordavo le parole del professore di teatro a scuola: “Nessuno è indispensabile.” Lo avevo imparato molto bene.
Salutai Val e mi sforzai di dargli una leggera pacca sulla spalla: volevo mostrargli la mia gratitudine. Lui mi abbracciò. Lo strinsi forte, col cuore in gola. Mi sembrava di scoppiare.
Frettolosamente rincasai, salutai i miei genitori e chiesi di potermi riposare.
La mia stanza era come un tempo. Mi distesi vestito su quel letto appartenuto a colui che un tempo ero stato io. Quella persona non c’era più.
Tanto vale morire del tutto piuttosto che a metà.
Pensavo sarebbe stato bello tornare a casa.
Valutazioni Giuria
1 – Sehnsucht – Valutazione: 25 Giud.1: Nel racconto i sentimenti del protagonista sono descritti bene con un linguaggio scorrevole. Giud.2: racconto scorrevole e chiaro. belle le descrizioni, le emozioni che trasmette al lettore e l’immagine dell’aereo. una domanda: il protagonista torna dalla guerra? Giud.3: Fluido, scorrevole e accorato. Ben centrato sul suggerimento dell’incipit. Difficile aggiungere qualcosa di nuovo ad un tema già infinitamente discusso. Giud.4: “Anzi, bello era un eufemismo, una parola di cui non ricordavo più il significato”: il concetto stride. “frenesia inconsueta: avevo imparato a lasciare i sentimenti lontano”: scritta in questo modo il soggetto è la frenesia, mentre era evidente l’intenzione che desse l’inconsuetudine. Anche nel periodo successivo ci sono delle incongruenze, che proseguono durante il resto della narrazione. Una punteggiatura non sempre precisa, ma soprattutto dei passaggi inverosimili: desidera tornare a casa, poi vorrebbe l’aereo precipitasse, non parla nè col primo amico che incontra, nè coi genitori… è tornato dal Vietnam! La storia di per sè, mi sembra già rivista nelle scorse puntate… |