1 – Fuga per l’immortalità
“Ma dove scappi così di corsa, Giorgio? Aspettami, vengo con te!”
“No, non venire che sei vècio!”
“Macchè vecchio! Io sono in forma smagliante, mi sento come se dovessi rimanere così per altri 5000 anni!”
“Guarda che devo attraversare tutta la cima e portare il mio carico di formaggi e arzèle in Vallelunga, ci sarà tanta neve, falìva anche adesso.”
“Secondo me vuoi andare da solo perchè di là ci sono le figlie del conciatore. E lo so che sono disponibili da sole o in gruppo…”
“Sono donnine per bene, le figlie del garbàr. A cosa servono le femne se non a renderti felice?”
“Servono a stancarti, ecco a cosa servono. Infatti mi pare più bello farmi tutta la strada nella neve con te che stare ancora qui ad ascoltare mia moglie.”
“Mica devi ascoltarla davvero, basta che muovi zuca in so e in zò ogni tanto…”
“Dai, vengo con te e le figlie del conciatore ce le dividiamo. Sono meno giovane di te, ma ho dei tatuaggi che piacciono alle pulzelle.”
Fu così, che dopo un lauto pasto a base di cervo e dormita ristoratrice Giorgio e Omobono si misero in viaggio.
Era mattina presto, il sole non aveva ancora fatto capolino attraverso le cime, ma il cielo era già dipinto di un tenue rosa dorato: si prospettava bel tempo. Quando i due uomini si incontrarono ogni cosa era ricoperta da una seconda pelle di ghiaccio. Avrebbero patito molto freddo, ma ciò non li spaventava: entrambi erano nati e cresciuti in quelle zone.
“Vè, Omobono, ricordati di tòr lo speck di stambecco.”
“Ce l’ho! Tu piuttosto, non dimenticare i formaggi!”
I due uomini attraversarono la vallata a passo svelto, parlottando del più e del meno. Quando incontrarono i primi clivi del crinale l’andatura rallentò parecchio e, tra un ansimo e l’altro, risalirono il pendio fino alla cima. La neve si era fatta sempre più alta ed era molto faticoso procedere, tanto che spesso si fermavano accampando una qualche scusa per non ammettere al compagno la stanchezza.
Il percorso non stava presentando sorprese e i due si godettero un breve pranzo accecati dal sole, il cui riflesso era moltiplicato esponenzialmente dal biancore imperante.
“Varda, lazò c’è la felicità.”
“Arriveremo in tempo per bere qualcosa e cenare tutti insieme.”
“Mi sfregolo le mani, non so se per il freddo o per il pensiero del dopocena.”
“Giorgio, tirati su che partiamo.”
“Ci sono dei punti engiazzàdi, vedi di non cadere perchè sennò ti mando giù a svoltolon!”
“Ci scendi poi te rotolando. Te l’ho detto che sto alla grande!”
Meglio non sapere esattamente come proseguì quella giornata, certo è che i due arrivarono a destinazione e che tutto (ma proprio tutto) andò secondo i loro concupiscenti piani.
Non vorremmo disturbare il lettore con queste impudicizie, ma per il buon esito della narrazione dobbiamo svelare che a tarda notte nel fienile del conciatore c’erano: i suoi soliti animali, le sue quattro figlie e i nostri due protagonisti, tutti vicini vicini, che il gelo non perdonava.
Qualcun’altro però dimostrò di non perdonare: con una lanterna in mano, strascicandosi per il troppo vino tracannato, arrivò il conciatore che, notando le pudende in mostra, si alterò grossolanamente! Prese il vicino forcone e iniziò a rincorrere i due mal- (o ben-, deciderà il lettore, secondo il suo punto di vista) -capitati, che iniziarono a scorrazzare per il cortile in costume adamitico!
Saranno stati dei felloni, ma un freddo così non lo augureremmo neanche a loro!
Così, tra grida, botte e schiamazzi, i due abbandonarono ogni ricordo delle gradite carezze e, per Giorgio, dei propri averi. Omobono invece riuscì eroicamente a coprirsi e raccattare alcuni oggetti mentre l’amico veniva battuto, poi si mise velocemente in marcia per il ritorno.
Purtroppo non fu abbastanza svelto a scomparire nel bosco: il vecchio conciatore lo colpì alla spalla con un colpo d’arco magistrale, e la punta della freccia in selce penetrò le carni del nostro malavventurato amico, che strisciò finchè potè verso la cima e la salvezza: nessuna delle quali furono raggiunte, anzi, a raggiungerlo fu una poderosa tormenta di neve che lo ricoprì. Per secoli.
“Giorgio” fu il suo ultimo pensiero “me la sono cercata, ma muoio da eroe. Tra 5000 anni mi troveranno e racconterò tante cose. Avrò talmente tanta confidenza con quei nuovi amici che mi soprannomineranno addirittura Ötzi!”
Valutazioni Giuria
1 – Fuga per l’immortalità – Valutazione: 18 Gaia: Un racconto alquanto grottesco, così come risulta piuttosto fuori luogo (o quanto meno fuori tempo…) la allusione ad Otzi, la mummia di un uomo vissuto probabilmente oltre 5000 anni fa… A parte qualche errore (qualcun’altro) e l’impiego non sempre puntuale degli avverbi (“si alterò grossolanamente”), il linguaggio è corretto e vario; i dialoghi, tuttavia, sono un po’ poveri e il contenuto risulta poco coinvolgente; nella seconda parte il racconto migliora, con l’appello al lettore e il tono da novella d’altri tempi. L’insieme risulta comunque un po’ “goffo”, privo di armonia, appesantito dallo squilibrio fra le due parti. Matteo: Dal momento che il racconto riprende chiaramente la vicenda di Otzi, l’ambientazione dovrebbe essere totalmente differente. Niente speck, nessun conciatore proprietario di un fienile, nessuna lanterna. Anche nel caso in cui questa discrepanza fosse voluta, non mi sembra per nulla efficace. Il narratore inoltre è assolutamente ingombrante nella seconda parte. Paola: La narrazione, di impronta boccaccesca, è abbastanza sviluppata. Il lessico, a metà tra il dialettale e l’italiano trecentesco, con espressioni come “pudenda”, ben accompagna il taglio del racconto. Pietro: Il racconto ha due voci distinte. Nella prima parte il narratore è invisibile, nella seconda invece è giudicante e, dunque, molto visibile. Le due voci di principio possono coesistere, ma per la buona riuscita del racconto è meglio sceglierne una sola. La battuta finale non è coerente con la forma e il tenore dei pensieri di Omobono nel resto del racconto, né plausibile. Starebbe invece molto bene in bocca al secondo tipo di narratore. La scelta di alcuni tempi verbali nelle battute iniziali scombussola la linea del tempo, compromettendo la comprensione del testo. |